Paolo Barilla: «Dagli esordi al trionfo a Le Mans: la partnership con F1 è un cerchio che si chiude»

Il vicepresidente del gruppo Barilla racconta la sua passione per le corse e la sua carriera come pilota, fino all’accordo siglato con il Circus che porta la pasta in una dimensione sempre più globale.

Barilla F1
tradizione e innovazione
Stefano Domenicali, ceo F1, Ilaria Lodigiani, Chief Category & Marketing Officer Barilla Group e Paolo Barilla, vp Barilla Group (Image Credit: Barilla)

Una vita legata ai motori. Paolo Barilla è cresciuto a pasta e Formula 1 grazie al legame che univa la sua famiglia ai Ferrari. Enzo, amico del padre Pietro, ha rappresentato una fonte di ispirazione per intraprendere la carriera da pilota.

Ma la passione per la velocità nasce ancora prima, in tenera età: «È nata per caso, quando ero bambino – ha raccontato a La Gazzetta Dello Sport -. Mi piaceva giocare con le macchinine e costruire piccoli circuiti per farle competere».  

Barilla Formula 1: il sogno di diventare pilota

Dai primi modellini si è avvicinato sempre più alla pista, maturando sempre più il sogno di diventare pilota: «L’ho sempre desiderato. Mia madre quando ero bambino mi regalò un kart, andando contro l’opinione di mio padre che invece era contrario, e lì iniziò a prendere forma questa ipotesi nella mia testa. Ma mi piaceva talmente tanto il kart che non volevo nient’altro,volevo solo correre». 

I pranzi condivisi a Maranello con Enzo Ferrari erano un rituale sacro che gli permise l’accesso a un mondo che rimaneva avvolto da un’aura misteriosa: 

«Mio padre portava me e i miei fratelli al Cavallino, dove Enzo Ferrari aveva il suo tavolo sempre prenotato. Se c’era una gara lui aveva un telefono vicino, da cui riceveva le chiamate dal direttore tecnico che gli dava i tempi e le posizioni delle sue Ferrari. Per me era un sogno perché tutto di quel mondo era avvolto dal mistero». 

Barilla Formula 1: il primo approccio con il mondo delle corse

Entrare a contatto diretto con il mondo delle corse non fece altro che rafforzare la convinzione in Paolo di volerne essere protagonista: fu così che si attivò in prima persona per orchestrare il suo debutto.

«Ricordo che andai da Dallara, nel loro primo capannone, che era un’officina molto semplice, a chiedere come si faceva a correre in macchina e quali passaggi avrei dovuto fare. Io arrivavo dai kart e non sapevo niente. Mi dissero che c’era questo nuovo campionato, la Formula Fiat Abarth, che iniziava nel 1980. A quel punto per gareggiare bisognava comprare la macchina e io dovevo andare da mio padre per chiederglielo sapendo che sarebbe stato contrario. Lui però era un democratico e non decise per conto suo ma convocò un vero e proprio consiglio di famiglia». 

Superate le reticenze del padre grazie al supporto del resto della famiglia, Paolo aveva ben chiaro che la buona riuscita nell’opera di convincimento era solo il primo step per lui che ambiva a farne una professione.

«Sapendo però che mio padre non era d’accordo sul farmi correre io mi imposi che dopo tre anni di competizioni dovevo diventare indipendente e non chiedergli altri soldi per andare in pista. Per me non era un hobby, volevo farne un vero lavoro. E ce la feci».

Barilla Formula 1: la vittoria a Le Mans e l’approdo nella classe regina

A stretto giro di posta si tolse una delle soddisfazioni più grandi della sua carriera con la vittoria a Le Mans arrivata nel 1985 a soli 24 anni, quando a bordo della sua Porsche 956 del Gruppo C sbaragliò la concorrenza pur partendo senza i favori del pronostico.

«Ero giovane, uno dei più giovani della categoria, e non ero arrivato con l’ambizione di vincere, anche se in una gara di 24 ore può succedere di tutto, devi sapere a che cosa vai incontro. È stata talmente forte l’emozione della vittoria che ricordo di non averla compresa fino in fondo. Era troppo. Ricordo meglio certi momenti della gara, anche perché prima di tutto io sono sempre stato un appassionato di guida, non di vittorie. Mi piaceva avere il controllo, ma è anche vero che il campione vuole vincere e basta, il resto non gli interessa». 

Cinque anni dopo il grande salto in Formula 1 dove calcò le piste insieme a icone del calibro di Ayrton Senna. Il Circus ha vissuto una trasformazione radicale da allora, anche se i principi sottesi alla competizione non sono mutati.

«È cambiata come ogni aspetto delle nostre vite. Tutto è diventato più teso e controllato ma lo spirito di questo mondo, quello dei piloti, degli ingegneri e di tutti quelli che lavorano nel paddock, è sempre lo stesso: cercare l’eccellenza, la sfida». 

Il ritorno nel Circus in veste di sponsor del campionato

A distanza di 35 anni, il ritorno in grande stile nella classe regina delle quattro ruote in veste di sponsor della F1 non può che rappresentare un cerchio che si conclude, una soddisfazione imprenditoriale in grado di riavvolgere le lancette dell’orologio e far rivivere le emozioni provate in gioventù.

«Per noi è un onore entrare a far parte di un mondo che rappresenta un modello a cui tendere. Non siamo qui solo per avere un palcoscenico di rappresentanza. Un’azienda come la nostra, che vive il territorio cercando sempre uno sguardo verso il futuro, incontra un mondo come quello della F1 per imparare e allo stesso tempo portare le proprie tradizioni in pista». 

Aldilà del legame emotivo, il Circus rappresenta una piattaforma dall’eco globale che permette di compiere un ulteriore salto di qualità a Barilla aprendola ulteriormente ai mercati internazionali.

«Stiamo vivendo anni di grande cambiamento di società e consumo, anche nelle tradizioni della tavola a cui siamo abituati, ma questo non deve spaventare, deve darci una spinta all’innovazione. Essere in Formula 1 significa anche questo».