La Formula 1 sta attraversando una profonda trasformazione che va ben oltre le innovazioni tecniche e i regolamenti sportivi. Al centro di questa rivoluzione c’è una figura che per decenni ha rappresentato l’anima e il volto delle scuderie: il team principal.
Una volta veri e propri sovrani delle loro organizzazioni, oggi questi manager si trovano ad affrontare una realtà sempre più simile a quella degli allenatori di calcio, con contratti precari e ricambi frequenti.
L’era dei “team principal assoluti” è finita
Fino a dieci anni fa, il team principal in Formula 1 era una figura dai poteri quasi illimitati. Decideva tutto: dalla scelta dei piloti alle assunzioni del personale, dagli accordi con gli sponsor alle strategie di comunicazione.
Un ruolo che andava ben oltre quello di un semplice allenatore di calcio, avvicinandosi più a quello di un amministratore delegato che però “scendeva in campo” personalmente, guidando organizzazioni che potevano contare centinaia di dipendenti. La gestione sportiva della Ferrari, tanto per fare un esempio concreto, conta oggi 1.200 persone: una vera e propria grande impresa.
L’allontanamento di Christian Horner dalla Red Bull Racing all’inizio di questo mese, come riportato da La Gazzetta dello Sport, ha segnato simbolicamente la fine di un’epoca. Horner, che aveva guidato il team per vent’anni, deteneva il record di longevità tra i team principal attualmente in carica. Con la sua uscita di scena, il titolo di “decano” passa ora al suo storico rivale Toto Wolff, che guida la Mercedes dal 2013.
Un turnover senza precedenti
I numeri parlano chiaro: in meno di otto mesi, metà della griglia ha vissuto un cambio ai vertici. Una rivoluzione manageriale che sarebbe stata impensabile solo cinque anni fa, quando i paddock erano popolati da volti storici e riconoscibili che avevano dato la propria identità alle rispettive squadre.
Personaggi come Franz Tost, Guenther Steiner o Fred Vasseur (allora in Sauber, oggi alla Ferrari in una posizione tutt’altro che stabile) rappresentavano una continuità che oggi appare come un ricordo del passato.
Il fenomeno riflette una tendenza preoccupante: i tempi di attesa per vedere risultati si stanno accorciando drasticamente, rendendo la F1 sempre più simile al calcio. Una logica che stride con la natura stessa di questo sport, dove cambiare un’intera organizzazione o raccogliere i frutti di uno sviluppo tecnico richiede tempo e pazienza.
La frammentazione del potere
La crescente complessità della Formula 1 moderna ha portato a una naturale frammentazione delle responsabilità. Il ruolo del team principal viene sempre più spesso “spacchettato”, seguendo una tendenza per cui vi è un amministratore delegato per gli aspetti finanziari e uno più focalizzato su quelli sportivi.
Esempi di questa nuova organizzazione si moltiplicano. In McLaren operano Brown e Stella, alla Racing Bulls ci sono Permane e Bayer, mentre la Sauber/Audi ha scelto la coppia Wheatley–Binotto.
Il caso Horner è emblematico: il manager britannico aveva accentrato su di sé i ruoli di CEO di Red Bull Racing, Red Bull Technology e Red Bull Powertrain, una concentrazione di poteri che si è rivelata insostenibile. Non a caso, il suo successore Laurent Mekies ha ereditato solo la prima carica.
Questa ristrutturazione organizzativa ha favorito l’emergere di una nuova generazione di leader: oggi otto team principal su dieci hanno un background da ingegnere. Un cambiamento che, paradossalmente, rende la loro posizione ancora più vulnerabile.
Il bacino di potenziali sostituti ingegneri è infatti molto più ampio rispetto a quello dei manager con esperienza specifica nel motorsport, creando una maggiore intercambiabilità.
Christian Horner guarda ad Alpine F1: possibile acquisizione
Il nuovo scenario proprietario
Le trasformazioni in corso sono accelerate anche dai cambiamenti nella proprietà dei team. L’ingresso dei fondi di investimento, il ritorno dei costruttori (Audi, Alpine, Cadillac) e la crescente finanziarizzazione del circus hanno modificato gli equilibri di potere.
In questo scenario, Toto Wolff rappresenta un’eccezione: è l’unico team principal che è anche proprietario del team (con una quota del 33% in Mercedes), una posizione che gli garantisce una stabilità unica nel panorama attuale.
Ferrari: un caso di studio
La situazione della Scuderia Ferrari illustra perfettamente questa “calcistizzazione” della Formula 1. Il Cavallino Rampante non vince un campionato dal 2008 e da allora ha cambiato cinque team principal: Domenicali, Mattiacci, Arrivabene, Binotto e l’attuale Vasseur.
Quest’ultimo, rappresentante della vecchia scuola, si trova oggi a operare con poteri molto più limitati rispetto ai suoi predecessori, sintomo di un cambiamento strutturale che va ben oltre le singole personalità.
I rischi
Questa trasformazione della Formula 1 verso un modello più simile al calcio presenta rischi evidenti. Come sottolinea anche l’analisi della Gazzetta dello Sport, in questo sport non esiste nessuno che può vincere da solo: né i capi, né i piloti (come dimostra l’esempio di Hamilton), né tantomeno i tecnici (vedremo cosa accadrà con Adrian Newey in Aston Martin, i frutti del suo lavoro si vedranno infatti dal 2026).
Il caso di Andrea Stella in McLaren offre una lezione importante. Nel 2023 ha iniziato con la squadra in ultima fila, eppure quest’anno il team può ambire a vincere entrambi i campionati mondiali. Un esempio che dovrebbe ricordare a tutti cosa sia realmente la Formula 1: uno sport dove la pazienza e la continuità sono spesso più preziose dei cambiamenti repentini.
La sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio tra l’esigenza di modernizzazione e competitività del circus e la necessità di preservare quelle caratteristiche che hanno sempre reso unica la Formula 1, dove i progetti a lungo termine e la costruzione di squadre coese rappresentano ancora la chiave del successo.