Twickenham, Lansdowne Road, Murrayfield e Millennium Stadium. Questi i nomi dei grandi stadi di rugby britannici, tornati a riempirsi con il fischio di inizio del Sei Nazioni 2025.
Luoghi iconici, tempi del rugby, con capienze al pari dei grandi impianti calcistici.
E la simmetria con il calcio, per gli impianti delle isole britanniche, non si limita al numero di spettatori che sono in grado di ospitare (in media 80mila) ma anche ai ricavi dai naming sponsor e da “matchday” che possono generare.
L’Irlanda, nazionale campione in carica del Sei Nazioni e detentrice della prestigiosa Triple Crown (il trofeo che si aggiudica chi, tra le nazionali britanniche, riesce a sconfiggere tutte e tre le altre) gioca i match casalinghi all’Aviva Stadium.
L’impianto, costruito nel 2010, ha preso il posto dello storico Lansdowne Road e ha avuto sin da subito Aviva – compagnia di assicurazioni britannica – come title sponsor.
Secondo le stime de Il Sole 24 Ore, la compagnia aveva sborsato 40 milioni di euro per assicurarsi i diritti sul nome in un accordo decennale.
Accordo rinnovato nel 2018 con un’estensione fino al 2025 che ora vede nuove trattative. La gestione dello stadio è invece saldamente nelle mani di New Stadium, società partecipata in egual misura dalla Federugby irlandese e della Fal (la Federcalcio irlandese).
Le due federazioni pagano regolarmente a New Stadium per utilizzare l’impianto che ospita le partite sia di rugby che di calcio ma ottengono anche i dividendi dovuti agli altri utilizzi, come concerti e altri grandi eventi, generando un circolo economico costante.
Sei Nazioni ricavi stadi: l’esempio di Scozia e Galles
Per la casa della Scozia, lo stadio Murrayfield di Edimburgo, l’accordo di naming rights risale al 2014, quando è entrata in campo BT, compagnia telefonica britannica, firmando un accordo da 20 milioni di sterline (poco più di 24 milioni di euro) per aggiungere BT al nome dell’impianto.
L’accordo è stato rinnovato due volte per poi passare nel 2023 al cambio di sponsor con la Scottish Gas, per un accordo quinquennale.
Dalla Scozia al Galles, dove si trova il Millennium Stadium. L’impianto di Cardiff, inaugurato nel 1999, è di proprietà della Federugby gallese e dal 2016 si chiama Pricipality Stadium, brandizzato dalla Pricipality Building Society, società attiva nell’edilizia, che ha firmato un decennale per 15 milioni di sterline (18 milioni di euro).
L’impianto è ancora più versatile di Aviva Murrayfield: grazie anche alla copertura completa ospita concerti, gare motociclistiche e ovviamente partite di calcio, dando ossigeno in cassa alla Federugby gallese.

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Sei Nazioni ricavi stadi: il Twickenham Stadium e l’arrivo di Allianz
Infine si va in Inghilterra, nel tempio assoluto del rugby, il Twickenham Stadium inaugrato nel lontano 1909. Da settembre 2024 la Federugby inglese ha firmato un accordo di sponsorizzazione con Allianz che avrebbe firmato un decennale dal valore di circa 100 milioni di sterline (120 milioni di euro), per dare nome all’impianto.
Un approccio gestionale che non coinvolge le due partecipanti non britanniche del Sei Nazioni. Lo Stade de France di Parigi, pur essendo gestito da una società privata, partecipata da Vinci e Bouygues è di proprietà dello stato.
Discorso analogo per lo Stadio Olimpico di Roma, di proprietà pubblica, ossia di Sport e Salute. Considerando il crescente interesse per il rugby anche alle nostre latitudini, con oltre 130mila tagliandi staccati per le tre gare che la Nazionale italiana giocherà in casa, il non massimizzare l’asset stadio, ha il sapore di un’occasione persa.