Mohammed Ben Sulayem si prepara a un secondo mandato alla guida della FIA senza dover affrontare alcun avversario. Le elezioni previste per il 12 dicembre a Tashkent, in Uzbekistan, si preannunciano come una formalità: nonostante l’interesse iniziale di diversi candidati, nessuno è riuscito a presentare una lista conforme ai requisiti statutari.
Il meccanismo che blocca la competizione
La chiave di questa situazione risiede in una peculiarità del regolamento elettorale FIA. Ogni candidato alla presidenza deve presentare una squadra completa che include, tra le altre figure, sette vicepresidenti regionali per lo sport, selezionati tra i membri del Consiglio Mondiale degli Sport Motoristici (WMSC) provenienti dalle sei regioni globali della Federazione.
Il problema emerge quando si guarda alla lista dei candidati approvati per il Sud America: figura un unico nome, quello di Fabiana Ecclestone, moglie dell’ex patron della Formula 1 Bernie Ecclestone, già inserita nella lista di Ben Sulayem. Poiché ogni candidato può comparire in una sola lista presidenziale, nessun altro aspirante presidente può presentare un ticket completo.
Quattro erano i nomi in lizza: oltre al presidente uscente, l’ex commissario FIA Tim Mayer, la pilota e imprenditrice svizzera Laura Villars e la giornalista belga Virginie Philippot. Prima di loro, anche la leggenda del rally Carlos Sainz Sr aveva valutato una candidatura, rinunciando per preoccupazioni legate alla propria carriera e a circostanze non ideali.
Le voci critiche e le dimissioni eccellenti
La situazione ha suscitato forti critiche, soprattutto da parte di Robert Reid, dimessosi ad aprile dal ruolo di vicepresidente per lo sport. In un post su LinkedIn, Reid ha denunciato come «il processo appaia democratico, ma in pratica chiuda la porta dall’interno». Secondo l’ex dirigente, se il presidente in carica controlla già i nomi delle diverse regioni «attraverso persuasione, pressione o promesse, nessun sfidante può formarsi».
Reid aveva lasciato la FIA denunciando un deterioramento della governance e decisioni critiche prese senza il dovuto processo. Non è l’unico: negli ultimi mesi si sono registrate le dimissioni della CEO Natalie Robyn, del direttore di gara Niels Wittich e di altre figure di alto profilo. Robyn ha parlato di «serie sfide strutturali in corso», mentre Mayer ha accusato Ben Sulayem di «fallimento nella leadership» e di un «regno del terrore» – accuse respinte dal presidente.
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Modifiche statutarie e concentrazione del potere
A rendere più complesso il quadro sono le recenti modifiche allo statuto della FIA, approvate nelle ultime due Assemblee Generali. Una norma introdotta a giugno consente al Senato FIA, controllato da Ben Sulayem, di nominare due candidati al WMSC. I critici ritengono che questo meccanismo serva a rimuovere potenziali ostacoli alla sua rieleggibilità, con un canale non disponibile per i candidati non in carica.
Il club automobilistico austriaco OAMTC ha persino messo in guardia contro un «periodo oscuro di regressione democratica». Ben Sulayem ha inoltre assunto il controllo del comitato etico della FIA e vietato dichiarazioni politiche, religiose o personali senza previa approvazione della Federazione.
Il sostegno dei club e le preoccupazioni per il futuro
Nonostante le tensioni, Ben Sulayem gode di un ampio sostegno tra i club membri. Già a maggio, 36 rappresentanti FIA di lingua spagnola e tutti gli undici presidenti delle federazioni sudamericane avevano firmato una lettera di sostegno alla sua rielezione. I sostenitori riconoscono i meriti nella stabilizzazione finanziaria post-pandemia e nella riorganizzazione delle strutture sportive.
Tuttavia, crescono le preoccupazioni sul lungo periodo.
«Quando la credibilità svanisce, svanisce anche la fiducia, – scrive Reid su LinkedIn. – E una volta persa la fiducia, l’intero ecosistema inizia a sfilacciarsi. I promotori si allontanano. I produttori esitano. I fan cercano altrove. La fiducia non scompare da un giorno all’altro. Scompare silenziosamente finché un giorno non c’è più. La storia ci dice cosa segue. Nello sport, nella politica o negli affari, la storia è sempre la stessa. Il potere si centralizza. La governance decade. La fiducia evapora. E quando si rompe, si rompe completamente».
Il rischio, secondo diversi osservatori, è che promotori, costruttori, sponsor e club perdano fiducia in una governance percepita come predeterminata.
Dave Richards, presidente di Motorsport UK, ha accusato a marzo Ben Sulayem di «accentrare troppo potere» e di rendere i processi decisionali «sempre più opachi». Critiche che si inseriscono in un dibattito più ampio sul futuro della FIA e sulla sua capacità di mantenere la credibilità presso tutti gli stakeholder del motorsport.
Con l’appuntamento elettorale ormai alle porte, l’emiratino si prepara a guidare la Federazione per altri quattro anni in un clima di consenso politico ampio ma accompagnato da crescenti interrogativi sulla trasparenza e sulla democraticità dei processi decisionali.