«Posso incontrare il primo ministro del Regno Unito o un qualsiasi presidente, se necessario». Con una dichiarazione Lewis Hamilton riesce a spiegare quello che è il suo peso specifico nel mondo, ben oltre i limiti dorati del Circus.
E non si tratta di una dichiarazione gonfia dell’ego di un campione, quanto più una semplice sintesi dei fatti: lo scorso giugno il settevolte campione del mondo ha effettivamente incontrato il primo ministro britannico, Keir Starmer, per esporre i suoi progetti di miglioramento del sistema scolastico del Regno Unito, volti a migliorare l’integrazione dei giovani più disagiati.
Sì perché il pilota più vincente di tutti i tempi, con le sue 105 vittorie totalizzate (finora) in carriera non è mai stato “solo” un pilota.
E, al traguardo dei quarant’anni, dopo 19 stagioni da pilota F1, Sir Lewis riesce a dichiararlo serenamente, senza alcuna punta di arroganza, o peggio ancora prosopopea.
Hamilton dopo F1: Lewis come Bono Vox
«Credo sia questo il mio ruolo – ha spiegato il campione post GP del Belgio all’emittente televisiva RBTV –: posso entrare nelle stanze giuste ed affrontare conversazioni complesse. Sono fatto così, lo sono sempre stato, e so di aver avuto un privilegio nella vita: devo sfruttarlo per aiutare chi è meno fortunato».
Lo status di Hamilton, come ha rilevato Tuttosport, è ormai paragonabile a Bono Vox, leader degli U2: una star planetaria, conosciuta in tutto il mondo, che usa la riconoscibilità ottenuta con il talento (musicale per Bono, sportivo per Lewis), per fare letteralmente del bene.
E “fare del bene” di Lewis è partito da molto lontano, da quando quale primo (e ancora unico) pilota di F1 afroamericano, si è inginocchiato per la prima volta per Black Lives Matter, facendosi seguire da quasi tutti i colleghi prima di ogni Gran Premio e spingendo anche la Mercedes a dare l’esempio, “tingendosi” di nero.
«Lasciare un’eredità come pilota? Mi concentro su altro»
«Da giovane volevo essere ricordato come uno dei migliori piloti di tutti i tempi – ha proseguito il campione nell’intervista a RBTV ripresa da Tuttosport -, ogni epoca ha avuto il suo numero uno, questo per me oggi conta meno, perché la penso diversamente: il mio obiettivo non è quello di lasciare un’eredità come pilota, non mi concentro su questo ma su altro».
Circa cinque anni fa Hamilton ha creato Mission 44, una fondazione nata per supportare nel percorso educativo e formativo, i giovani e giovanissimi meno fortunati. Una fondazione nella quale Hamilton ha versato 20 milioni di sterline come “capitale iniziale” e ha convinto a donare anche il presidente Ferrari John Elkann al momento del suo ingresso a Maranello.
«Ho una fondazione che si occupa di educare i bambini svantaggiati. Voglio che abbiano accesso i migliori studi. E collaboro con associazioni che combattono la malnutrizione infantile. Ci sono ancora più di cento milioni di bambini che non hanno accesso all’istruzione. Penso sia pazzesco pensare a tutti i soldi che si spendono per le guerre».
Riciclaggio rifiuti e ridistribuzione cibo in eccesso: le idee per la F1
Accesso all’istruzione per tutti, combattere la malnutrizione infantile. Hamilton parla – ma agisce anche – da potenziale premio Nobel per la pace e non lesina idee anche per la F1 di cui è protagonista da ormai due decenni. «Ogni fine settimana sprechiamo cibo, mentre la gente – e soprattutto i bambini – muoiono di fame. Possiamo collaborare con banche alimentari e redistribuire il cibo in eccesso; inoltre son convinto che ai Gran Premi dovrebbe esserci un sistema di riciclaggio e trasformazione dei rifiuti».
Il presente di Lewis è ancora in Formula 1, al volante di una Rossa che dovrebbe metterlo in condizione di macinare i successi a cui è abituato e non limitarsi a dire a uno con il suo palmares e la sua vocazione umanitaria “spingi e pensa a guidare”.
Ma nel futuro di Sir Lewis c’è sicuramente qualcosa che va ben oltre lo sport, qualcosa in grado di cambiare – in meglio – gli equilibri sociale e ambientali del mondo.