Formula 1 e cinema, un’accoppiata che fino a pochi anni fa sembrava improbabile, oggi è il perno di una strategia di espansione globale ambiziosa e perfettamente orchestrata. Con l’uscita di “F1 The Movie” nelle sale, la massima serie automobilistica si conferma sempre più un impero dell’entertainment.
Non un semplice sport, ma un contenuto da vivere, trasmettere, monetizzare. E da esportare, soprattutto negli Stati Uniti, il mercato più difficile ma anche il più redditizio.
Prodotto da Jerry Bruckheimer (lo stesso di Top Gun e Black Hawk Down) con un budget che supera i 300 milioni di dollari, il film ha tutte le carte in regola per diventare uno dei più costosi – e strategici – veicoli promozionali della storia dello sport.
F1 The Movie: il cinema come leva di marketing
Se in passato Hollywood aveva deriso la F1 – si pensi al grottesco personaggio francese in Talladega Nights (2006) – oggi la narrazione è cambiata radicalmente. Il nuovo film si avvicina alla realtà della pista con rigore: le riprese sono state effettuate durante i weekend di gara, Pitt ha imparato a guidare monoposto a oltre 300 km/h, e la produzione ha lavorato a stretto contatto con la Formula 1 per garantire autenticità. Lo riporta The Economist, sottolineando come l’operazione rappresenti un salto di qualità nella narrazione del motorsport.
Per onor di cronaca, quest’ultima è a livello visivo e sonoro più che di trama.
Questa operazione non arriva nel vuoto. È la naturale evoluzione di una strategia mediatica che ha già trovato il suo successo in Drive to Survive, la docuserie Netflix che ha portato il circus nelle case di milioni di spettatori. Secondo Parrot Analytics, tra il 2020 e il 2024, Drive to Survive ha generato oltre 290 milioni di dollari per la piattaforma, ispirando imitazioni nel mondo del tennis, del ciclismo e persino del golf – con risultati altalenanti.
Nel 2024 è arrivato anche F1: The Academy, sempre su Netflix, dedicato alle giovani pilote donne. Un segnale chiaro: la F1 punta su nuove audience e su una narrazione inclusiva, umana, accessibile.
Il business dei contenuti
L’approccio di Liberty Media, proprietaria della F1 dal 2017, è stato rivoluzionario. Il vecchio patron Bernie Ecclestone aveva trasformato la F1 in una macchina commerciale globale, ma con un modello statico. Liberty ha portato un cambio di paradigma: la F1 non è più solo uno sport, ma un content producer.
Ha lanciato F1 TV Pro, podcast, canali social verticali, contenuti brevi e ad alto tasso di engagement. I piloti sono “il cast”, le piste sono il set, le gare diventano episodi di un reality ad alto budget.
“Le persone non si interessano di stabilità in frenata, – ha dichiarato Derek Chang, dirigente Liberty, – ma vogliono sapere cosa mangiano i piloti a colazione”.
Un approccio pop che ha funzionato: dal 2018 al 2024 gli ascolti medi su ESPN negli USA sono più che raddoppiati, arrivando a 1,3 milioni di spettatori a gara. Di conseguenza, il valore dei diritti TV negli Stati Uniti è esploso: da 5 milioni di dollari l’anno nel triennio 2019-2022, si è passati a richieste tra i 150 e i 180 milioni, sempre secondo quanto riferisce The Economist.
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Verso una nuova frontiera americana
Per rafforzare il legame con il pubblico statunitense, Liberty ha introdotto nuovi Gran Premi a Miami e Las Vegas, affiancando quello storico di Austin. E nel 2026 è previsto il debutto di Cadillac, un marchio iconico americano, come team ufficiale.
Tuttavia, per scalzare NASCAR, football e basket nella gerarchia dello sport USA, la F1 ha bisogno di più di una buona narrazione: serve un campione a stelle e strisce. “La Formula 1 ha bisogno di un nuovo Mario Andretti”, afferma Mark Gallagher, ex manager del paddock.
Nel frattempo, F1 The Movie potrebbe essere lo strumento giusto per accendere il motore. Se il grande schermo riuscirà ad appassionare una nuova generazione di tifosi americani, il film non sarà solo un colossal da botteghino, ma l’ennesimo tassello in un progetto industriale ben preciso: trasformare ogni weekend di gara in uno spettacolo globale, dentro e fuori la pista.