Momento difficile per l ‘automotive. L’incertezza crescente nel settore automobilistico, messo alla prova da tensioni geopolitiche e dall’inasprimento dei dazi commerciali, impone l’adozione di strategie difensive.
La conglomerata statunitense General Motors ha annunciato il ritiro delle previsioni di utile per il 2025 e il congelamento di 4 miliardi di dollari destinati al riacquisto di azioni proprie (buyback), riporta Il Sole 24 Ore.
Il direttore finanziario del gruppo, Paul Jacobson, ha spiegato che le precedenti stime non tenevano conto dell’impatto delle tariffe introdotte dall’amministrazione Trump lo scorso 3 aprile. GM aggiornerà la sua guidance domani, 1° maggio, nel corso di una conference call posticipata proprio per attendere sviluppi normativi.
Automotive dazi: le misure adottate dal governo statunitense
Nel frattempo, la Casa Bianca ha anticipato nuove misure per mitigare gli effetti dei dazi. Un nuovo ordine esecutivo, annunciato dal segretario al Commercio Howard Lutnik in occasione dei primi 100 giorni del secondo mandato presidenziale, prevede incentivi per i produttori che assemblano veicoli negli Stati Uniti.
Le aziende potranno beneficiare di crediti fino al 15% del valore dei veicoli, da utilizzare per compensare i dazi su componenti importati. In una fase iniziale, il rimborso potrà coprire fino al 3,75% del valore del veicolo.
Inoltre, i veicoli e i componenti colpiti dal nuovo dazio del 25% saranno esentati dalle tariffe preesistenti su acciaio, alluminio e altri materiali. Le misure avranno effetto retroattivo, e l’amministrazione intende concedere alle aziende il tempo necessario per riorganizzare le catene di approvvigionamento e rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti.
Automotive dazi: l’impatto su General Motors
Il ceo di GM, Mary Barra, ha espresso apprezzamento per l’iniziativa: «Crediamo che la leadership del presidente stia contribuendo a creare condizioni di parità per aziende come GM», ha dichiarato. Il gruppo è particolarmente esposto, con molti pick-up prodotti in Canada e Messico e modelli come Chevrolet Trax ed Equinox a rischio rincari.
Secondo gli analisti di Bernstein, una linea più flessibile sui dazi potrebbe offrire sollievo nel breve termine, ma i rischi strutturali restano intatti, e permangono nonostante il primo trimestre si è chiuso sopra le attese: utile per azione a 2,78 dollari (+6,1%) ed Ebit rettificato a 3,49 miliardi, in calo del 9,8% sull’anno precedente.
Un segnale positivo arriva dalla Cina, dove GM è tornata in utile. Il buyback proseguirà nel secondo trimestre, ma il vero test sarà in autunno, quando evoluzione dei dazi e dinamiche di mercato definiranno le prospettive per il gruppo di Detroit.
Automotive dazi: il contagio oltreoceano
Le difficoltà non riguardano solo le case automobilistiche statunitensi. Nel contesto di economie sempre più interdipendenti caratterizzate da catene del valore globali, anche Porsche, baluardo dell’automotive tedesco, è alle prese con una fase di riposizionamento forzato.
I risultati del primo trimestre hanno deluso le attese: la casa di Stoccarda ha rivisto al ribasso le previsioni di margine operativo al 6,5-8,5% (dal precedente 10-12%) e le stime di ricavi a 37-38 miliardi di euro. Il titolo è in calo da inizio anno, e ha subito una riduzione del 23%.
A pesare è soprattutto il crollo delle vendite in Cina, ex primo mercato del marchio, dove i volumi si sono ridotti del 42% nel primo trimestre — peggior risultato dal 2013.
A questo ritmo, il calo potrebbe superare il 50% entro fine anno. La crescente competitività dei produttori locali e una generale disaffezione verso i brand europei hanno eroso la posizione di Porsche nel mercato asiatico.
Il freno agli investimenti e le prospettive future
Di conseguenza, il gruppo ha sospeso il progetto Cellforce sulla produzione di batterie ad alte prestazioni, un investimento da 1,3 miliardi di euro, per concentrarsi su modelli endotermici e ibridi plug-in.
In questo scenario, i nuovi dazi rappresentano un ulteriore ostacolo per Porsche, che non dispone di impianti produttivi negli Stati Uniti, oggi primo mercato per il marchio con una quota del 29%. Nonostante i tentativi di anticipare le spedizioni e mantenere stabili i listini, l’impatto si è già fatto sentire ad aprile.
Il CFO Jochen sostiene che il contesto macroeconomico richiede «scelte pragmatiche». Secondo gli analisti di JP Morgan, questa crisi potrebbe offrire l’occasione per ricalibrare le aspettative e puntare a un miglioramento dei margini a partire dal 2026.