«Qualche anno fa qualcuno disse che arrivavo da Marte, quando fui scelto per la presidenza della LBA. Io penso che di base c’è sempre un pallone in mezzo, le grandi differenze tra gli sport sono rappresentate dagli zeri che seguono le cifre, in termini di capienza, ricavi, costi, budget e quant’altro. Questo perché in Italia tutto lo sport che non è calcio è di nicchia ma si può lavorare per determinare l’ampiezza di questa nicchia».
Umberto Gandini, presidente della LBA dal 2020, non ama nascondersi dietro un dito e la schiettezza, di parola e ancor più di pensiero, è indubbiamente la sua cifra espressiva.
Lo dimostra in questa intervista, parlando di basket, di calcio ma anche di quello che lo sport può fare per il Sistema Paese e quello che, per converso, il Paese deve fare per lo sport.
Domanda. Partiamo dai numeri che sono sempre il nostro “pane”: ci dica tre dati per certificare lo stato di salute della LBA nel 2024.
Risposta. Preciso che Lega Basket e movimento sono due cose diverse.
La LBA è composta dalle sue sedici squadre associate e possiamo definirla ben in salute se consideriamo che nell’ultima stagione pre pandemia i ricavi si assestavano a 6-6,5mln mentre adesso siamo quasi a 11 milioni di indotto complessivo.
Una crescita importante dovuta ai diritti televisivi, ai ricavi commerciali, attività di marketing/sponsorship ed eventi a latere della Lega.
Ma anche per quanto riguarda il movimento nel suo complesso i numeri sono decisamente rilevanti.
Alla fine del girone d’andata 2023/24 abbiamo registrato un aumento dell’11% in termini di spettatori, con una percentuale di riempimento degli impianti che passa dal 63% della scorsa stagione al 73% di quella attuale; inoltre sette società su 16 superano una media riempimento dell’80%.
Questo per quanto riguarda la stagione regolare, ci sono poi le Final Eight, che quest’anno hanno raggiunto il record all time con oltre 40mila biglietti venduti solo per il torneo maschile, in crescita del 10% sulla stagione – da record – precedenti e da ultimo, ma non di certo meno rilevante, i numeri social, con incrementi di oltre il 36% dei follower totali, del +45% sulle visualizzazioni e del +84% sulle interazioni.
Percentuali di crescita imbarazzanti.
Poi, chiaro che tutto è relativo perché dipende da dove sei partito però incrementi a doppia cifra son sempre degni di nota e soprattutto se si considera che questi valori sono relativi al periodo 1° luglio 2023/7 gennaio 2024 con i primi due mesi quasi senza partite.
Tenere l’attenzione elevata nell’off season è indubbiamente difficile ed è uno degli aspetti che abbiamo migliorato.
D. Un movimento vitale e con un’attenzione in crescita costante. Lo dimostra anche l’interessamento degli investitori: è notizia recente che un gruppo statunitense sia entrato sul parquet tricolore con l’acquisto dell’Estra Pistoia Basket 2000.
R. Per la seconda volta nella storia una squadra è stata ceduta a un gruppo di investitori stranieri. Successe con Trieste due anni fa e ora abbiamo questo gruppo americano (East Coast Sport Group Italia S.r.l. è il veicolo societario italiano degli investitori americani con presidente l’ex cestista Ron Rowan N.d.R.) che ha scelto la piazza di Pistoia, squadra sana anche dal punto di vista agonistico, attualmente in lotta per i playoff.
Se Trieste (attualmente in A2) dovesse centrare la promozione, l’anno prossimo potremmo avere due proprietà straniere su sedici, qualcosa di mai capitato prima.
A prescindere da questo mi pare un segnale di grande vitalità e ancor più di solidità di sistema il fatto che gli investitori americani guardino allo sport, nella fattispecie il basket – considerato cosa rappresenta per loro – e non solo al calcio nel nostro Paese.
Certo, la visibilità, l’appeal, e i numeri che il basket italiano porta, da qualche anno a questa parte – anche precedentemente al mio arrivo – non si traduce in numeri televisivi e più in generale di grande pubblico.
Questo perché tutto lo sport in Italia che non è calcio è uno sport di nicchia.
L’ampiezza della nicchia dipende da tanti fattori: in F1 dai risultati Ferrari e da quanto sia accesa la competizione; un altro esempio è dimostrato dall’ascesa del tennis grazie a Sinner e tutta una generazione di ottimi tennisti che hanno riportato la Davis e infiammato le ATP Finals.
I successi cambiano l’ampiezza delle nicchie. Noi siamo una nicchia che lotta con un progetto molto chiaro per far si che il nostro perimetro si allarghi.
LBA-Infront, grande successo per il B2B verso le Final Eight
D. Lei arriva alla guida della Lega Basket a inizio 2020, un “attimo prima” che esplodesse l’emergenza sanitaria. Una partenza decisamente in salita ma, archiviata quella parentesi nera, ha avuto modo di inanellare successi stagione dopo stagione. Si riconosce qualche pietra miliare?
R. No, non necessariamente e non singolarmente soprattutto.
Io rappresento un movimento, ho sempre detto che i vantaggi e i successi della Lega derivano da sedici proprietà, dai loro progetti, dai loro budget, dalla loro voglia di competere e dunque ingaggiare giocatori importanti, italiani e non.
La lega raccoglie i frutti del lavoro delle proprietà: il nostro compito è dare le linee guida per gestire tutti insieme – e al meglio – il prodotto basket.
D. I suoi trascorsi nel mondo calcistico sono universalmente noti; dai tanti anni trascorsi in Serie A quale esperienza ha voluto portare nel basket e da cosa invece ha scelto di tenersi alla larga?
R. Sicuramente da un lato quei 25-28 anni nel calcio e più in generale una carriera nello sport ha dato il suo. Soprattutto per quanto riguarda l’esperienza in materia di diritti televisivi, quando più di vent’anni fa, mi occupavo di sviluppare insieme alle reti commerciali europee quello che poi è diventata una delle fonti di ricavo più importanti per lo sport.
Esperienze, contatti, relazioni e conoscenza materia mi hanno agevolato.
Dall’altra parte quello su cui abbiamo dovuto lavorare, giocoforza obbligatorio anche con dovuto alla pandemia, è stato tutto il digitale, i social e l’implementazione tecnologica che non faceva parte del mio bagaglio ma era un qualcosa che si stava sviluppando e diventava sempre più vitale per aumentare i numeri del basket ben oltre la portata di palazzetti e tv.
D. Tra l’altro chi la “tacciava” di essere un alieno forse non sapeva che per condizione “geografica” il basket è sempre stato nel suo DNA.
R. Essendo nato a Varese è stato praticamente impossibile non essere toccato, soprattutto nel corso della adolescenza, dalla pallacanestro. Valeva un po’ per tutti e i modi diversi: vuoi perché giocavi, o perché seguivi da appassionato, o ancora qualche amico giocava o nel giro di parenti e amicizie c’erano giocatori importanti.
Varese, come tante città in Italia, è una città piccola ed era – e ancora è – impossibile non conoscere il basket.
D. Il basket è uno sport a punteggio alto, rapido e adrenalinico e non è raro che le partite si decidano solo al tiro della sirena. Eppure per la Gen Z (e ancor più le generazioni a seguire) hanno un interesse e un’attenzione che si calibra in secondi. Come (con quali mezzi, canali e strumenti) si conquistano i nuovi spettatori e soprattutto si crea attaccamento e affezione?
R. La scelta più importante è stata quella di cambiare la narrativa, usare i media digitali con un linguaggio vicino a quelli che saranno e speriamo siano sempre più i nostri appassionati futuri.
Va detto che le nuove generazioni hanno una predisposizione al basket, è un terreno ampio, c’è la dominanza NBA e contribuisce la spettacolarità e l’interesse che hanno verso questo sport anche molti influencer.
Noi abbiamo aggiunto il nostro, lavorando tanto sulla contaminazione con altri mondi, in particolare la musica hip hop e la cultura urban che abbiamo scelto di raccontare attraverso i personaggi, le città, i profili dei giocatori e degli allenatori.
Chiaro che poi avendo uno sport dove passi facilmente dal +20 al -15, dove spesso ti giochi tutto nell’ultimo quarto o all’ultimo tiro, comporta dei vantaggi.
D. Di diritti televisivi e nuovi media se ne è occupato anche nella sua vita sportiva precedente: qual è la situazione attuale per il basket italiano e cosa si aspetta dal nuovo ciclo di diritti che partirà nel 2025?
R. Noi abbiamo beneficiato tantissimo dell’attività aggressiva di Eleven rispetto a Discovery + due anni fa, dove l’assegnazione si risolse poi con una differenza di qualche decina di migliaia di euro. Il merger, l’acquisizione di Eleven da parte di DAZN ci ha dato visibilità e un patrimonio di utenti molto ampio, dando la possibilità a qualche milione di utenti di conoscere meglio il nostro basket, allargando il parco spettatori paganti sullo streaming.
Con il prossimo ciclo andremo a bando nel primo semestre del 2025, forse addirittura il primo trimestre.
Guardiamo con attenzione agli sviluppi ma quello che non abbiamo ancora visto all’orizzonte è l’intervento delle grandi piattaforme.
Penso a Prime che per ora si sta muovendo solo con la Champions League ma anche a Disney e a Netflix che stanno dimostrando interesse per lo sport in diretta, anche se per mercati ristretti. Vuol dire che stanno studiando, stanno sperimentando: dobbiamo capire se il basket italiano avrà la forza per diventare un discorso interessante per loro.
D. Ultima domanda su un tema che è di fatto un annoso per ogni sport: l’impiantistica sportiva. Qual è lo stato dell’arte dei palazzetti italiani e cosa andrebbe fatto per colmare il gap con gli altri Paesi europei (senza scomodare l’NBA) per rendere l’impiantistica un asset revenue?
R. È un dibattito quotidiano ed un annoso da che lavoro nello sport.
Gli ultimi interventi, parlando di stadi, risalgono ai Mondiali di Italia 90, se si esclude qualche maquillage fatto su San Siro nel 2001 e per la finale di Champions del 2016, mentre un discorso a parte è l’impiantistica indoor.
C’è fermento: penso a Tortona, al polo sportivo di Venezia, all’impianto temporaneo della Virtus in fiera a Bologna o anche a una realtà storica come Cantù, anche se attualmente milita in A2, fino ad arrivare al Pala Inalpi di Torino, che rimane un po’ la bussola da seguire. Tuttavia si tratta sempre e solo iniziative su spinta privata.
Ritengo che le arene debbano essere pensate non solo per eventi sportivi ma più in generale per il business dell’intrattenimento: strutture polifunzionali con sport e grandi eventi e un palinsesto che copra almeno 120 eventi l’anno, non meno di uno ogni tre giorni.
Il Pnnr è stata un’occasione a dir poco disattesa e persa, con poco più di 900milioni dedicati allo sport tra impianti, palestre e sport a scuola. Su quest’ultima la lungimiranza è stata nulla, considerando che tutte le discipline sportive hanno un serbatoio nazionale per il futuro delle proprie attività proprio nella scuola. Bisogna sperare che ci sia un master plan dell’impiantistica che aiuti i privati che hanno progetti in questa direzion e un Governo illuminato pronto a dirottare importanti capitoli di spesa per l’impiantistica sportiva. Temo tuttavia che siamo molto lontani anche solo dall’accettazione dell’inconfutabile dato che lo sport fa bene.