L’era Pierer è definitivamente finita. Il colosso indiano Bajaj Auto ha formalizzato l’acquisizione totale del gruppo KTM, completando un’operazione da 800 milioni di euro che segna una svolta epocale nel motociclismo mondiale.
Il primo atto simbolico della nuova proprietà è stato immediato e inequivocabile: cancellare il cognome della famiglia che per decenni ha guidato l’azienda austriaca.
Pierer Mobility AG è stata ribattezzata Bajaj Mobility AG, mentre Pierer Bajaj AG diventerà Bajaj Auto International Holdings AG. Non si tratta di un semplice rebranding, ma dell’inizio di una trasformazione radicale che toccherà produzione, marketing, ricerca e sviluppo, fino al prestigioso programma sportivo che ha reso celebre il marchio.
L’operazione: dal salvataggio al controllo totale
La transazione, avviata a maggio scorso, si è conclusa il 18 novembre con il trasferimento delle 50.100 azioni detenute da Pierer Industrie AG. Bajaj Auto International Holdings BV è ora unico azionista di PBAG e controlla il 74,9% di Pierer Mobility AG, rendendo KTM AG una sua controllata diretta.
L’acquisizione arriva dopo mesi drammatici per il gruppo austriaco, entrato in procedura fallimentare con perdite multimilionarie. Nonostante un utile ante imposte di 897 milioni nel primo semestre 2025 (contro i -237 milioni dello stesso periodo 2024), il fatturato è crollato del 57,8%, passando da 1.007 a 425 milioni di euro. Stefan Pierer, storico CEO, si è dimesso dopo trent’anni al comando.
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La mannaia sui costi: nel mirino uffici e sport
Rajiv Bajaj, amministratore delegato del gruppo indiano, ha delineato un piano di ristrutturazione senza precedenti. L’obiettivo dichiarato è ridurre i costi generali del 50%, con interventi su ricerca e sviluppo, tutte le aree di marketing, incluso lo sport, e tutte le aree operative.
Il riferimento allo sport ha acceso un campanello d’allarme tra appassionati e addetti ai lavori: il costoso programma racing, compresa la presenza in MotoGP, potrebbe subire tagli significativi proprio mentre KTM cerca di consolidare la propria posizione nel campionato mondiale.
L’analisi del management indiano ha rivelato uno squilibrio sorprendente nella struttura organizzativa. «Di 4.000 dipendenti, solo circa 1.000 sono operai di produzione; 3.000 sono impiegati amministrativi, il che è sconcertante, – ha dichiarato Rajiv Bajaj. – Gli operai sono quelli che producono le motociclette».
La conclusione è inevitabile: i tagli colpiranno principalmente gli uffici, non le linee di produzione. «I futuri cambiamenti nel volume di produzione influenzeranno relativamente poco i lavoratori in linea; il problema sarà il numero eccessivo di impiegati d’ufficio», ha precisato il CEO indiano, scaricando le responsabilità sulla «vecchia alta dirigenza, e la maggior parte di loro se n’è già andata».
Tra le ipotesi al vaglio figura lo spostamento completo della produzione fuori dall’Europa. La logica economica è ferrea: i costi di manodopera in India o altri mercati asiatici sono incomparabilmente inferiori a quelli austriaci, e Bajaj produce già milioni di veicoli all’anno a prezzi estremamente competitivi.
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Due anime in conflitto: è la fine dell’identità austriaca?
La questione è se KTM riuscirà a contenere i costi senza sacrificare quell’aura di esclusività e qualità che ha sempre contraddistinto il marchio, mantenendo al contempo i centri di ricerca e sviluppo in Europa.
Il futuro di KTM appare sospeso tra passato e necessità. Da un lato l’anima corsaiola e ribelle, fatta di prestazioni estreme, successi sportivi e produzione europea d’eccellenza. Dall’altro l’approccio pragmatico e orientato ai numeri di Bajaj: efficienza produttiva, penetrazione nei mercati di massa, specialmente asiatici, e margini di profitto al primo posto.
Nei prossimi mesi scopriremo se il gigante indiano riuscirà a salvare KTM senza cancellarne l’identità, o se assisteremo alla trasformazione definitiva di un’icona del motociclismo europeo in un marchio globale a guida indiana. Una cosa è certa: l’era che ha fatto grande KTM è archiviata, e quella nuova parla hindi.