Essere ai vertici di una lega che esprime il meglio del volley mondiale non è un compito facile. Farlo per 25 anni, esercitando vari incarichi, e cercando di alzare il livello stagione dopo stagione, richiede una costante profusione di idee e sviluppo di progetti. Forse è per questo che Massimo Righi la scorsa estate ha fatto un passo – non indietro ma quanto meno di lato – cedendo a Fabio Fistetto il testimone come amministratore delegato della Lega Pallavolo Serie A, mantenendo il ruolo di presidente. Un presidente in prima linea che al benessere del movimento lavora costantemente, anche a costo di sbagliare, come nel caso della Supercoppa italiana in Arabia Saudita.
Dagli accordi globali con Volleyball World, al nodo dell’impiantistica sportiva italiana obsoleta; dai rapporti con la politica ai sodalizi con gli sponsor, Righi si racconta a Sport e Finanza in un’intervista a tutto tondo.
Domanda. L’ultima assemblea di Lega ha visto approvare all’unanimità il bilancio consuntivo 2024/25. Qual è lo stato di salute economico della Lega?
Risposta. Lo stato di salute è buono, ma lo è sempre stato. Dal punto di vista patrimoniale ed economico la Lega è “robusta”, siamo anche proprietari della nostra sede. Anche per quanto riguarda il conto economico cerchiamo di migliorare i nostri risultati, con l’obiettivo di trasformarli in servizi per gli associati, premi di competizione, promozione degli spazi e così via. Diciamo che del bilancio – che facciamo certificare da 25 anni da una società esterna -, due terzi dei fondi sono riversate in servizi e un terzo per gli stipendi e per la gestione della struttura. Ma per noi è prassi cercare di investire il più possibile in risorse e sviluppo: se non corriamo facciamo fatica, perché i nostri competitor non sono solo gli altri sport ma tutto quello che è entertainment in ogni sua forma.
D. Rispetto alla riforma del lavoro sportivo c’è sul tavolo la proposta di estendere la flat tax a tutti i lavoratori sportivi e la riduzione del 50% dei contributi, per la quale avete richiesto una proroga. Facciamo ordine: quali sono le istanze da parte dei club e dei giocatori e cosa vuole e può fare la Lega.
R. La riforma del lavoro sportivo ha comportato un certo ordine e una sorta di giustizia sociale e questo va riconosciuto. Ma è entrata in maniera disorganica sulle attività delle società sportive. Noi comunque abbiamo delle priorità, penso al meccanismo dell’esenzione IRAP che si applica ai compensi sportivi fino agli 85 mila euro ma nel momento in cui si supera questa cifra si perde il beneficio fiscale e si paga sull’intero importo, non solo sull’eccedenza. È un tema che può comportare scompensi finanziari per le società che hanno giocatori con ingaggi magari anche di 100 o 200 mila euro. Quindi ben venga la riduzione dei contributi, per la quale sì, abbiamo chiesto una proroga, ma se dall’altra parte arriva la botta dell’IRAP non c’è alcun risparmio. Noi non vogliamo aiuti da parte dello Stato, non mi stanco di ripeterlo perché gli aiuti son solo un tampone temporaneo. Noi cerchiamo misure strutturali, come la proposta di introdurre il credito di imposta sulle sponsorizzazioni sportive, esattamente come avviene per il cinema o l’editoria: ogni anno si stabilisce solo qual è il fondo ma è un qualcosa su cui si può fare affidamento, oppure l’estensione della flat tax dalle p.iva ai co.co.co. che sono di fatto i lavoratori sportivi. Sono proposte di cui abbiamo parlato con i ministri Abodi e Giorgetti, vedremo. Ma non vogliamo aiuti che indeboliscono lo sport e le strutture, non le rinforzano e non danno garanzie per il futuro.
D. Parliamo di diritti televisivi. L’assetto attuale prevede un mix con due partite in chiaro su Rai Sport, due su DAZN e la programmazione integrale su VBTV, la piattaforma di streaming di Volleyball World. Vi ritenete soddisfatti?
R. L’accordo con Volleyball World è pensato sulla lunga durata, siamo al secondo di dieci anni e oltre ai diritti televisivi, sia nazionali che esteri, prevede molto altro. Abbiamo aperto dei canali di sviluppo per portare la nostra esperienza in altre leghe del mondo. Con la lega giapponese organizziamo eventi e scambi di giocatori. In mercati nuovi come Cina e India dove inizia a esserci una grande richiesta di volley, stiamo valutando scambi di natura tecnica, ma anche in Stati Uniti e Canada che non hanno un campionato – dopo il college non ci sono franchigie e leghe di volley – e che invece vorrebbero strutturarsi, ragionare su una dimensione più definita. Lato Italia potremmo pescare dai giocatori universitari, con il sistema delle scelte.
D. Cos’altro si può fare per portare più ricavi ai club e rendere più capillare il volley?
R. Volleyball World ci aveva proposto di cedere in toto l’organizzazione dei nostri eventi e in particolare si erano proposti, in fase di interlocuzione, di gestire la biglietteria che avrebbero acquistato in vuoto per pieno. Ci abbiamo pensato ma siamo convinti che ci sia ancora margine di sviluppo sul fronte della biglietteria; dobbiamo uscire dalla mentalità che il volley dal vivo debba costare poco. Abbiamo ancora troppi club che mettono i biglietti a prezzi troppo bassi e questo non va bene. Ma ci stiamo lavorando. Un altro aspetto riguarda il betting.
D. Il betting sportivo è un fronte d’alto potenziale ma altrettanto complicato…
R. Collaboriamo con Volleyball World anche su questo ma si parla sempre di diritti, non c’è una ripartizione dei ricavi. Mi spiego, noi prendiamo soldi dai diritti video delle gare che vengono trasmesse sui siti degli operatori di gioco legale, in particolare in Oriente dove la fame di volley è tanta. Ma se anche si giocano dieci milioni di euro sulle partite le squadre non prendono un euro. In Italia, insieme al ministro Abodi, stiamo lavorando anche su questo. L’ideale sarebbe avere una percentuale del monte complessivo delle scommesse che venga redistribuito alle singole leghe che sono oggetto della scommessa stessa. Dopo aver destinato una parte all’attività di base e una parte a combattere la ludopatia, il resto andrebbe distribuito in base ai praticanti. L’idea è anche semplice ma i percorsi diventano lunghi perché anche solo togliere l’1% vorrebbe dire che qualcuno che attualmente lo porta a casa debba rinunciarci.
Righi: «Derby tra stati del golfo per la pallavolo italiana»
D. Cambiamo fronte, spostiamoci su sulle sponsorship e partnership. Del Monte per gli eventi (Supercoppa e Coppa Italia, oltre alle competizioni giovanili) e Credem per il campionato, sodalizio quest’ultimo ormai decennale e appena prorogato. Come giudica il rapporto con gli sponsor?
R. Devo dire viviamo una situazione di reciproca e grandissima soddisfazione. Noi non ci limitiamo alla mera esposizione del marchio ma abbiamo fidelizzato gli sponsor con modalità diverse e sempre in evoluzione: diversificando le offerte, introducendo i social, con convention, eventi b2b e via discorrendo. Non abbiamo mai cannibalizzato lo sponsor o corso dietro rilanci economici. In cambio, ad ogni rinnovo, i contratti son sempre stati ritoccati verso l’alto.

D. Attualmente la massima serie di pallavolo maschile prevede 12 squadre ma la sua idea è di portare la Super Lega a 20 squadre suddivise in due conference. Quanto è realizzabile questa proposta e come andrebbe a strutturarsi?
R. Ogni volta che propongo un’idea il “no” è sempre la prima risposta. Ma è così da 25 anni e non conto più i viaggi che faccio per convincere i singoli presidenti. L’idea non è tanto di avere 20 squadre ma 20 società, capaci di investire su roster che possano esprimere 10-12 giocatori italiani di livello. Il nostro campionato esprime otto-dieci squadre che hanno un livello medio altissimo e possono lottare per il titolo, una peculiarità che non c’è in altri campionati europei e capisco il timore che con 20 squadre si possa abbassare il livello. Ma io credo che tra Super Lega e Serie A2 siamo almeno a 16 società così strutturate. Arrivare a 20 per comporre due conference e mantenere un campionato sui sette mesi e non sui nove, con tanto di playoff e finals, non sarebbe così difficile. E poi con la serpentina del ranking evitiamo divisioni geografiche e anche se tutti non incontrano tutti si mantiene un campionato di livello. A me piace molto l’idea, vedremo. In Italia si produce tanto talento ma bisogna lavorarci.
D. Supercoppa italiana in Arabia. Cosa non ha funzionato?
R. Non ha funzionato il partner (Saudi Crown Holding. N.d.R.) che non ha rispettato niente di quello che avrebbe dovuto fare e parliamo di una holding araba super capitalizzata. Siamo stati ricevuti come dignitari di corte, abbiamo fatto centinaia di ore di riunioni ma poi ogni volta mancava qualcosa e non rispettavano le scadenze e le date (le Finals Four erano programmate a Dammam per il 7-8 novembre N.d.R.) si avvicinavano, alla fine abbiamo dovuto rinunciare. I club avevano messo a budget cifre importanti e poi c’era la possibilità di sviluppare rapporti con gli sponsor, senza dimenticare i danni di immagine e i costi sostenuti. Insomma è stata una brutta figura per la Lega e io ho messo sul tavolo le mie dimissioni.
D. Dimissioni chiaramente respinte…
R. Non sono state accettate ma ciò non toglie la brutta figura. In seguito è intervenuta l’ambasciata italiana in Arabia che ha incontrato il ministro dello sport. Da quanto abbiamo ricostruito, c’è stato un buco amministrativo e il presidente della loro federazione di volley – con il quale avevamo avviato il dialogo – è stato invitato a dare le dimissioni e noi ci siamo trovati in mezzo. Quel che è certo è che il ministro vuole a tutti i costi l’evento, questa holding dovrebbe uscire dai giochi e al suo posto dovrebbe entrare in campo il fondo sovrano (PIF). Aspettiamo gli sviluppi perché comunque c’è in ballo un contratto multimilionario di cinque anni.
D. Chiudiamo con un tema trasversale a molti – se non tutti – gli sport in Italia che pagano lo scotto di avere impianti vetusti e poco funzionali. Qual è la situazione per il volley e cosa vi servirebbe?
R. L’impiantistica non è solo vetusta ma è anche difficilmente modificabile. Inoltre il limite è anche infrastrutturale, penso a viabilità, mezzi pubblici, parcheggi. Le cose cambiano quando gli impianti hanno contratto di lunga gestione e allora le società – pur non essendo proprietarie – tirano fuori dei gioiellini, si può ragionare sugli store, sul merchandising e via così, come nel caso di Monza, Modena, Trento o Verona. Certo, strutture nuove aiuterebbero a fare anche il salto di qualità del ticketing di cui parlavamo prima. Ma in città di piccole medie dimensioni, le città di provincia, che esprimono il meglio della nostra pallavolo, costruire ex novo impianti da 8 –10 mila posti è impossibile per i comuni. Noi abbiamo proprietà solide che si farebbero carico di costruire impianti moderni ma andrebbero supportate, con piani di finanziamento, mutui agevolati o soluzioni analoghe. Chiaro che se tutte le leggi son pensate per finanziare gli stadi i palazzetti non si fanno. Quindi mi unisco al coro dei lamenti, nella consapevolezza che non cambierà.