R360 fa tremare le Federazioni: rugby a rischio Superlega?

Scenario da Superlega con otto federazioni contro la nuova competizione R360: chi partecipa non giocherà in nazionale. In ballo contratti milionari e investimenti da Liverpool, United e Red Bull.

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Sguardo sulla nuova competizione
Image Credits: federico pestellini / panoramic / Insidefoto

Dopo il calcio, anche il rugby rischia la sua Superlega. Si chiama R360 (o Rebel League) ed è un progetto che sta facendo tremare l’intero ecosistema della palla ovale mondiale.

Otto franchigie maschili e quattro femminili, giocatori provenienti da ogni continente, contratti da mezzo milione a 1,5 milioni di euro all’anno. A un top player degli All Blacks sarebbero stati offerti addirittura 4 milioni di euro annui per tre anni.

R360: in cosa consiste e chi la finanzia

R360 consisterebbe in una stagione breve, squadre in franchising senza legami territoriali e partite itineranti nelle principali metropoli del mondo, ad esempio Londra, Tokyo, Dubai, Città del Capo, Boston e Miami. Il calendario prevede 16 match suddivisi in due periodi: da aprile a giugno e da agosto a settembre.

Dietro R360 si muovono però nomi di grande peso nel panorama sportivo e finanziario globale. Secondo la stampa britannica, Fenway Sports Group (proprietario del Liverpool FC), la famiglia Glazer (Manchester United e Tampa Bay Buccaneers) e Red Bull sarebbero pronti a investire circa 15 milioni di sterline ciascuno per assicurarsi una franchigia.

A gestire la parte finanziaria del progetto è Oakvale Capital, società specializzata in private equity e investimenti sportivi, incaricata di strutturare i finanziamenti e raccogliere capitali. Le fonti di investimento provengono da Regno Unito, Stati Uniti e Medio Oriente, con un forte interesse da parte dell’Arabia Saudita. Non tutti i finanziatori, tuttavia, sono stati resi pubblici.

A guidare l’iniziativa sono Mike Tindall, campione del mondo con l’Inghilterra nel 2003, e l’agente Mike Spoors, con il debutto ufficiale previsto per settembre 2026.

Per aumentare l’hype e la curiosità intorno alla competizione, hanno già iniziato a diffondere i primi nomi di atleti coinvolti: tra questi Henry Slade, George Ford, Jamie George e quattro giocatori sudafricani ancora non resi noti. Nel mirino ci sarebbero anche stelle internazionali come Ardie Savea, mentre alcune fonti indicano contatti avviati anche con giocatori italiani.

Alcune criticità

Il torneo richiederà circa 200 atleti per poter partire, con compensi che potrebbero arrivare fino a un milione di dollari a stagione. Tuttavia, inserire questa nuova competizione nel già fitto calendario rugbistico mondiale rappresenta una sfida significativa. Le finestre individuate da R360 si sovrappongono infatti a quelle internazionali dell’emisfero australe, rendendo difficile la partecipazione dei giocatori impegnati con le rispettive nazionali.

Le attuali regole complicano ulteriormente la situazione: in molti Paesi, come Inghilterra, Nuova Zelanda e Irlanda, possono essere convocati in nazionale solo i giocatori tesserati nei campionati domestici.

La reazione delle federazioni

La risposta delle istituzioni rugbistiche è stata durissima. Otto delle dieci federazioni Tier 1 – Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, Irlanda, Inghilterra, Scozia, Francia e Italia – hanno pubblicato un comunicato congiunto dal tono inequivocabile: chi accetta di giocare per R360 non potrà essere convocato in nazionale.

«Accogliamo con favore nuovi investimenti nel rugby, ma qualsiasi nuova competizione deve rafforzare lo sport nel suo insieme, non frammentarlo, – recita la nota. – R360 non ci ha fornito alcuna indicazione su come intenda gestire la tutela della salute dei giocatori, né su come possa coesistere con i calendari internazionali frutto di anni di negoziati».

Le federazioni accusano il progetto di essere «concepito per generare profitti destinati a un’élite molto ristretta, rischiando di svuotare gli investimenti che le federazioni nazionali dedicano al rugby di base».

I rischi per l’ecosistema del rugby

Il modello economico del rugby si basa principalmente sulle nazionali e sui grandi eventi internazionali. I campionati nazionali faticano: l’Inghilterra blocca le retrocessioni regolarmente, il Super Rugby dell’emisfero australe boccheggia, persino in Francia 10 delle 14 squadre del Top 14 sono in perdita.

Un esempio: nel 2023 la federazione irlandese ha dichiarato pubblicamente che il mancato svolgimento dei test autunnali (causa Mondiale) aveva causato notevoli danni economici, considerando che l’Irlanda gioca sempre sold out a Dublino.

Se R360 sottraesse i migliori giocatori ai campionati nazionali e alle nazionali stesse, l’intera filiera del rugby rischierebbe il collasso. Dai club più prestigiosi fino alle società di base, tutti verrebbero travolti da un effetto domino devastante.

Un altro elemento critico: i fondi di R360 offrono garanzie solo per 2-3 anni. Cosa succederebbe dopo? Il progetto presentato a World Rugby non fornisce risposte su questo punto cruciale.

«Se i soldi finiscono o gli sponsor si tirano indietro, R360 rischia un collasso immediato lasciando i giocatori senza squadra, con contratti milionari non rispettati», avvertono gli osservatori. Il rischio è quello di un luna park ambulante che arriva, ruba l’attenzione, e quando se ne va non lascia nulla se non macerie.

L’impatto sul rugby femminile

Il progetto prevede anche quattro franchigie femminili, in un momento in cui il movimento femminile sta cercando di emergere in modo organico. L’ultimo Mondiale femminile ha fatto registrare record di pubblico con la finale a Twickenham strapiena.

Ma dietro le prime quattro nazionali (Inghilterra, Canada, Nuova Zelanda e Francia), il movimento è quasi totalmente dilettantistico. L’obiettivo dichiarato dalle federazioni è permettere a quante più ragazze possibile di giocare professionalmente.

R360 concentrerebbe invece risorse e attenzione su un centinaio di atlete, lasciando il resto del movimento senza fondi e visibilità.

Un futuro incerto

R360 rappresenta indubbiamente un test cruciale per il rugby mondiale. Da un lato, il progetto porta capitali freschi e promette di innovare uno sport che fatica a trovare sostenibilità economica. Dall’altro, rischia di frammentare un ecosistema già fragile, svuotando di significato i campionati nazionali e minando le fondamenta stesse su cui si regge l’economia del rugby.

La domanda rimane aperta: il rugby può permettersi una Superlega? O farà la stessa fine del tentativo calcistico, collassato prima ancora di iniziare? La risposta arriverà nei prossimi mesi, quando si capirà se i promotori riusciranno a trasformare le promesse in realtà e, soprattutto, se i giocatori saranno disposti a rinunciare alla maglia della nazionale per un assegno milionario.

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