Parigi si è presentata al mondo olimpico con un’idea ambiziosa: far nuotare gli atleti nella Senna. Un progetto che, a Giochi in corso, rimane in bilico, minacciato da valori di inquinamento ancora troppo alti, che rischiano di far “traslocare” alcune gare in location alternative. Il nuoto in acque libere è tra queste: una disciplina ancora giovane che ha già imparato ad affrontare l’inquinamento connesso alle gare con iniziative mirate.
Il nuoto è da sempre un caposaldo di ogni Olimpiade: è infatti presente fin dalla prima edizione dei giochi di età moderna, quelli di Atene nel 1896. Dal 2008 gli atleti si sfidano anche sulla distanza di 10 kilometri, percorsi solitamente in mare aperto, con tutte le variabili del caso. In occasione dei Giochi di Parigi 2024, l’organizzazione ha puntato su un risultato mai nemmeno ipotizzato prima: investire oltre un miliardo e mezzo per pulire le acque e il fondale della Senna, per ospitarvi le gare di triathlon e di nuoto a lunga distanza.
Una scelta insieme coraggiosa e contestata. Le immagini del sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che poco prima dell’avvio dei Giochi si è bagnata nelle acque cittadine a dimostrazione della loro balneabilità, non hanno placato le polemiche né i dubbi, visto che a pochi giorni dalle gare in programma – e anche alla luce del ricovero della triatleta belga, Claire Michel per Escherichia coli – ancora non è chiaro se sarà necessario adottare un “piano B” in fretta e furia per consentire il regolare svolgimento delle competizioni.
Nuoto acque libere impatto: il ruolo degli atleti
Gregorio Paltrinieri è l’atleta italiano di punta in questa disciplina: oltre a un eccellente curriculum da nuotatore “tradizionale” in piscina, confermato dal recente bronzo negli 800 metri stile libero, da qualche anno gareggia anche sulla lunga distanza in acque libere.
Il campione ha più volte descritto le due discipline quasi come due sport diversi, considerate le condizioni in cui si compie un gesto tecnico che, ai non esperti, può apparire simile se non identico.
Le correnti, e in generale tutti gli agenti atmosferici, la presenza degli altri nuotatori sulla tua stessa traiettoria, la possibilità di sfruttare la scia creata da chi nuota davanti a te, gli inevitabili colpi dati e ricevuti, sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano questa disciplina e la differenziano dal classico nuoto in piscina.
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Nuoto acque libere impatto: come ridurlo
Quando si pensa al nuoto, vengono subito alla mente due frasi fatte: “è lo sport più completo”, e poi “è uno sport pulito, dove serve soltanto un costume da bagno e un paio di occhialini”.
In realtà, soprattutto per le gare in esterna, l’organizzazione delle competizione ha un inevitabile impatto ambientale per le acque in cui si gareggia. Nuotare per lunghe distanze vuole dire allestire punti mobili di rifornimento per gli atleti, postazioni in cui il nuotatore possa reintegrare le energie perse assumendo alimenti o liquidi (solitamente gel) di facile assimilazione.
Si pensi al confezionamento e alla modalità di somministrazione di questi alimenti e li si moltiplichi per le decine o centinaia di nuotatori che gareggiano. Gli stessi partecipanti riconoscono l’impatto che questi “pit stop” possono avere per le acque e i fondali che ospitano le competizioni.
Si può contenere questo inquinamento? E se sì, in che modo?
Nuoto acque libere impatto: l’esempio della FIN
La buona notizia è che è possibile adottare modalità e seguire procedure volte alla riduzione dell’impatto ambientale connesso a queste gare.
Si può prendere ad esempio quanto fatto da Federnuoto negli ultimi anni, con il protocollo Nuoto in Acque Libere Plastic Free.
Più in generale, ci si muove in due direzioni diverse.
Si lavora anzitutto sulla scelta dei materiali e sulle modalità di recupero dei rifiuti lasciati dai nuotatori.
Per esempio, utilizzare bicchieri o contenitori di carta biodegradabile riduce la famigerata carbon footprint, minimizzando il rischio di residui di plastica a competizione terminata.
Quel che succede alla fine della gara è una sorta di ricognizione fatta dagli organizzatori e dagli ufficiali di gara alla ricerca di eventuali rifiuti che possono essere raccolti e, nel caso, riciclati. Condurre quest’attività con barche a motore sarebbe un controsenso, andando a inquinare la stessa acqua che si sta cercando di pulire. Utilizzare invece mezzi a remi, come kajak, tavole da surf o sup, rende il compito più efficace e coerente con l’obiettivo che si propone.
C’è poi un aspetto didattico, legato alla formazione, che solitamente viene svolto a margine delle gare: si organizzano eventi a tema come la pulizia di spiagge, o laboratori tenuti da biologi marini in cui tutti, atleti e spettatori, possono approfondire aspetti legati alla sostenibilità ambientale e contribuire in prima persona al ripristino dell’ambiente che ha ospitato la gara.
La presenza del campione di turno dà a queste occasioni una visibilità che altrimenti non sarebbe raggiungibile, e aggiunge un ulteriore anello a questa “catena virtuosa”: è lo stesso protagonista dell’evento a rimboccarsi le maniche insieme agli altri e contribuire in prima persona a minimizzare l’impatto del suo passaggio.
Il focus si sposta, tenendo al centro non più il campione ma l’ambiente che lo ospita.
La stessa Federnuoto, in tutt’altro contesto – quello dell’assistenza alle persone e del salvamento – dal 2022 ha affiancato al classico obiettivo di “salvare l’uomo dall’acqua” il reciproco concetto di “salvare l’acqua dall’uomo”.
L’obiettivo è uno solo, quello di lasciare il luogo in cui ti trovi in condizioni migliori di quelle in cui l’hai trovato. Un atto di buon senso, niente di più.
Al tempo stesso, un approccio innovativo che vuole davvero confermare la convinzione di tanti: il nuoto è uno sport “a impatto zero”.