La WWE diventa un ring di sponsor: tra boom di ricavi e fan disillusi

Con l’accordo per i diritti tv e l’invasione del product placement, la WWE rivoluziona la sua estetica per massimizzare i profitti. Ma i fan storici non ci stanno.

WWE
Sponsor WWE
Image credit: Depositphotos

Nel 2025 il wrestling è entrato ufficialmente in una nuova era. Mentre i fan il mese scorso hanno pianto la scomparsa di Hulk Hogan e sono rimasti scioccati dal turn heel di John Cena, – autentico colpo di scena nel suo farewell tour, – un altro elemento meno narrativo ma profondamente strutturale ha cambiato per sempre il volto della WWE: il product placement.

Come ha raccontato NSS Sport in un approfondito articolo, «il ring è diventato un enorme cartellone pubblicitario». Una trasformazione che ha origine nel marzo 2024, quando Logan Paul ha portato ufficialmente il marchio Prime – la linea di energy drink fondata con KSI – sul tappeto dello squared circle, infrangendo un tabù storico.

Fino a quel momento il ring della WWE era rimasto “vergine” da sponsorizzazioni, pur essendo stato teatro di sangue, birra e latte.

Da quel momento, tutto è cambiato. Tavoli brandizzati Slim Jim, scale Fire Ball durante Money in the Bank, carrelli di bibite posizionati accanto al ring e un tappeto che cambia logo e colore in base all’evento o allo sponsor del momento.

Netflix e il rebrand: 500 milioni di motivi per cambiare

Il vero spartiacque, però, è stato l’accordo colosso che ha portato la WWE su Netflix: 500 milioni di dollari all’anno per 10 anni, con la piattaforma di streaming che trasmette Monday Night Raw e tutti i pay-per-view.

Con l’addio alla TV tradizionale, la federazione ha colto l’occasione per un rebrand completo: nuovo tappeto nero decorato con loghi, una W centrale che cambia in base all’evento (ad esempio Riyadh Season in Arabia Saudita o The Naked Gun in occasione della promozione del remake con Liam Neeson), e una grafica che ora è interamente al servizio degli sponsor e delle partnership editoriali.

Il passaggio, per quanto redditizio, è anche funzionale a una più profonda pulizia d’immagine: la WWE aveva urgente bisogno di prendere le distanze da Vince McMahon, ex CEO travolto da gravi accuse e costretto alle dimissioni nel 2024.

Il rebranding visivo è stato anche un modo per marcare l’inizio di una nuova era.

Show semplificati, costi ottimizzati, biglietti alle stelle

Se dal punto di vista del business i risultati sono evidenti – quasi 400 milioni di dollari di ricavi nel primo quadrimestre del 2025, come riportato da NSS Sport – la fanbase non nasconde il malcontento. La critica più ricorrente? L’impoverimento estetico degli show.

Lo storico Titantron non esiste più, le entrate personalizzate sono state eliminate, e gli stage dei pay-per-view (un tempo tematici e iconici) ora sono standardizzati, con poche eccezioni riservate a WrestleMania. Ogni dettaglio è pensato per ridurre i costi e aumentare l’efficienza logistica: uno stesso palco per tutte le tappe, grafiche intercambiabili, animazioni prodotte in un pomeriggio da un singolo grafico.

Questa ottimizzazione ha però un costo per i fan: l’esperienza è meno immersiva e più “fredda”, e i prezzi continuano a salire. Il dynamic pricing ha portato i biglietti a livelli mai visti: basti pensare che a Bologna – tappa del tour Road to WrestleMania – si andava da 126,50 euro a oltre 575 euro.

Product placement WWE: wrestling globalizzato, commerciale e (di nuovo) attrattivo

In parallelo a questo processo di trasformazione estetica e commerciale, la WWE ha abbracciato anche un nuovo modello di apertura. Oggi collabora con federazioni rivali, come la TNA e la messicana Lucha Libre AAA Worldwide, che è stata addirittura acquisita. Wrestler WWE appaiono in altre promotion e viceversa, in uno scambio impensabile fino a pochi anni fa.

E se un tempo i wrestler cercavano vie di fuga dalla federazione, oggi ritornano (è il caso di Rusev e Aleister Black) o aspirano a firmare per la WWE anche da free agent.

L’esempio più significativo della nuova direzione arriva dalla serie “Unreal”, prodotta con Netflix: uno sguardo dietro le quinte che rompe ogni residuo di kayfabe, mostrando il processo creativo, le sceneggiature e il backstage. La WWE non si nasconde più: si vende per quello che è, uno show multimilionario dove ogni spazio – fisico o narrativo – può essere monetizzato.

Il prezzo dell’eccellenza

È difficile negare che la WWE stia vivendo un momento d’oro dal punto di vista del business e dell’espansione internazionale. Pochi giorni fa The wall Street Journal ha anticipato che il colosso dell’intrattenimento Disney ha firmato un accordo del valore di 1,6 miliardi di dollari per rendere ESPN la casa esclusiva negli Stati Uniti di tutti i Premium Live Events (PLEs) della WWE a partire dal 2026.

Tuttavia, il prezzo da pagare è alto: la perdita di quella cura estetica e narrativa che aveva reso la federazione un’icona culturale pop oltre che sportiva.

Come conclude NSS Sport,

«resta la sensazione che qualcosa sia stato sacrificato. Che sia andato perso un senso dell’estetica che permetteva di curare finezze e dettagli. Il pubblico del wrestling vuole una ricompensa per il coinvolgimento emotivo».

In un’epoca in cui il ring è uno spazio pubblicitario e l’entrata di un wrestler è diventata un template modificabile, la sfida per la WWE sarà mantenere vivo il cuore pulsante dello storytelling senza soffocarlo sotto il peso delle logiche commerciali. Perché anche nell’era dei milioni, – se non miliardi, – i fan continuano a chiedere la stessa cosa di sempre: emozione.

E Disney, tramite ESPN, dovrà semplicemente fare ciò che sa fare meglio: raccontare, far sognare, emozionare.

 

Image Credits: Depositphotos