Se n’è andata a 72 anni Mabel Bocchi, nella sua casa di San Nicola Arcella, in Calabria, dove viveva accanto alla sorella Ambra, circondata dai suoi animali e con lo sguardo rivolto al mare.
Un tumore al polmone e problemi cardiaci hanno spezzato la vita di una donna che è stata molto più di una semplice campionessa: è stata un’icona, una rivoluzionaria, la prima vera Divina dello sport italiano.
La regina del parquet
Alta 1.86, ala-centro mobile, tecnica e potente, Mabel Bocchi è stata un fenomeno autentico in campo. Con il Geas Sesto San Giovanni ha dominato gli anni Settanta collezionando 8 scudetti in 9 anni e, soprattutto, conquistando nel 1978 la prima Coppa dei Campioni femminile italiana di sempre, in qualsiasi sport. Un traguardo che aprì definitivamente le porte allo sport rosa nel nostro Paese.
Con la Nazionale azzurra fu protagonista del bronzo agli Europei di Cagliari del 1974 e soprattutto del quarto posto ai Mondiali di Cali nel 1975, dove venne nominata MVP e capocannoniera. In quell’anno la FIBA la incoronò migliore giocatrice del mondo, un riconoscimento che certificò il suo talento a livello globale.
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Un aneddoto racconta la sua personalità: all’ultimo mondiale chiese alla gigantesca sovietica Uljana Semionova, due metri e dodici centimetri, di lasciarle vincere la classifica marcatori. «L’avevamo studiato tutte e due ed entrambe non parlavamo inglese», raccontava Mabel, spiegando come si fossero intese parlando in latino.
La sindacalista con i tacchi
Ma Mabel non è stata solo canestri e vittorie. È stata una lottatrice per i diritti delle atlete in un’epoca in cui lo sport femminile era «guardato con un certo sospetto perché ritenuto improprio e virilizzante», ricorda La Gazzetta. Insieme a Sara Simeoni, Paola Pigni e Novella Calligaris, Bocchi «spinse tutto il movimento femminile verso un semiprofessionismo».
Fu la prima “sindacalista” delle azzurre, battendosi perché le atlete avessero lo stesso gettone di presenza e il medico al seguito dei colleghi maschi. Per questo venne squalificata e multata più volte. Non sopportava le ingiustizie, per il sistema era una rompiscatole.
Grazie alle sue battaglie, le nazionali femminili ottennero finalmente assistenza medica, fisioterapisti e condizioni economiche migliori.
Non aveva paura di mostrarsi: inventava ogni settimana tagli e colori di capelli nuovi, indossava minigonne e tacchi altissimi che la portavano a sfiorare i due metri, girava con la spider. «Odio il reggiseno che mi obbligano a portare, sono piatta, non ne ho bisogno», dichiarava senza peli sulla lingua.
In un mondo che chiedeva alle donne di farsi piccole, lei si prendeva tutta la scena.
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Una vita da rivoluzionaria
Nata a Parma da madre argentina (da cui il nome) e padre italiano, Mabel crebbe in una famiglia di campioni: la sorella Ambra fu promessa del basket prima di un grave infortunio, il fratello Norberto campione del mondo di bridge. Lei stessa si laureò all’Isef a 21 anni col massimo dei voti, diventando poco dopo la più giovane docente universitaria italiana.
Chiuse la carriera agonistica a soli 29 anni per i troppi infortuni: schiena, ginocchio, tendine d’Achille, tre fratture al naso. Ma le vite di Mabel erano molteplici. Divenne giornalista professionista, conducendo lo spazio basket de La Domenica Sportiva su Rai, prima presenza femminile della testata insieme a Simona Ventura. Scrisse per Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, occupandosi di fitness e alimentazione.
Eppure qualcosa non la convinceva. «Non mi ritrovavo più nell’immagine esterna, – riporta le sue parole La Repubblica. – Non sopportavo più di essere quella che nel mondo dello spettacolo doveva comportarsi in un certo modo. Alla Domenica Sportiva mi dicevano: ridi, ridi di più. E io: perché se devo leggere i risultati del basket?».
Fu consigliera comunale di Sesto San Giovanni, artista materica, viaggiatrice instancabile in Africa e Asia. Libera, indipendente, femminista.
L’eredità di una pioniera
Negli ultimi anni viveva in Calabria, nel villaggio del bridge, in una casa affacciata sul Tirreno. Fumava sigari toscani, si prendeva cura dei suoi cani e gatti («Gli animali avvicinano a Dio»), aveva persino insegnato al suo merlo Cioppi a fare il bagno.
Nel weekend la pallacanestro italiana la ricorderà con un minuto di silenzio in tutti i campi. La Lega Basket Serie A, attraverso il presidente Maurizio Gherardini, ha espresso cordoglio per la scomparsa di una figura «difficile da sostituire». Questo perchè se ogni ragazza che fa sport può avere cose che sembrano scontate – come una tuta della propria misura, assistenza – è perchè c’è stata Mabel.
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Ha giocato e lottato contro l’idea che gli uomini fossero migliori delle donne: un’assurda convinzione.
La sua legacy, come si dice negli Stati Uniti per indicare l’eredità lasciata dagli atleti, travalica i confini della pallacanestro. Mabel Bocchi è stata un’anticipatrice, un simbolo di modernità sportiva e di visione. E se oggi il basket femminile italiano può guardare avanti, è anche grazie al sentiero che lei ha tracciato con anticipo e coraggio.