Lo sport dice basta: quando il campo diventa luogo di abusi contro le donne

In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, emergono dati allarmanti dal mondo sportivo. Gli abusi nello sport sono un fenomeno strutturale che richiede interventi immediati.

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Sensibilizzazione
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Lo sport italiano scende in campo contro la violenza di genere, ma i numeri rivelano una realtà preoccupante proprio all’interno degli ambienti sportivi. Mentre le iniziative si moltiplicano in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre, emergono dati che impongono una riflessione profonda sul sistema.

Come riporta La Gazzetta dello Sport, il mondo sportivo si è mobilitato: dalla Serie A di calcio, dove i giocatori sono scesi in campo con il “baffo rosso” sulle guance, alla Serie B con palloni rossi accompagnati dal claim “B4love”. Nel volley, la Savino del Bene Scandicci ha scelto di donare 30 euro alla Fondazione antiviolenza Artemisia per ogni “monster block” realizzato.

I numeri che fanno riflettere

Ma è proprio guardando dentro il mondo dello sport che emergono dati allarmanti. A livello internazionale, un manuale pubblicato nel 2023 dall’Unesco e da UN Women rivela che il 21% delle donne ha subito abusi sessuali in giovane età nello sport, quasi il doppio rispetto agli atleti maschi (11%). Durante i Giochi di Tokyo, l’87% delle atlete è stata bersaglio di messaggi oltraggiosi sui social media.

In Italia, la ricerca Change the Game ha evidenziato come quattro atleti su dieci siano stati vittime di abusi nello sport prima dei 18 anni. Il dato più significativo riguarda il ruolo dei preparatori: per le donne, allenatori e allenatrici risultano autori del 35% degli episodi di violenza, percentuale che scende al 27% per gli uomini.

Il “Progetto S.I.M.O.“, curato dall’olimpionica del ciclismo Antonella Bellutti, ha rilevato che il 44% delle atlete intervistate ha dichiarato di aver subito violenza psicologica o comportamenti inidonei da parte di allenatori o dirigenti. Il 77% ha testimoniato di aver assistito a comportamenti inappropriati.

Una violenza che nello sport assume forme diverse: body shaming, pressioni psicologiche, molestie da parte di allenatori, dinamiche di esclusione nei gruppi squadra. Gli ambienti fortemente gerarchici, i contesti chiusi e gli allenamenti senza supervisione esterna favoriscono abusi che vengono normalizzati o non denunciati.

Sono frequenti testimonianze di contatti fisici non richiesti giustificati come “correzioni tecniche”.

Le soluzioni in campo

Quasi tutte le federazioni e le componenti Coni si sono dotate di un organo di safeguarding per denunce anonime. A livello nazionale ci si sta ulteriormente lavorando. Il 23 ottobre, il Dipartimento Pari Opportunità del Coni, guidato da Laura Lunetta, ha incontrato il ministro Andrea Abodi.

Sul tavolo sono state messe diverse proposte: un tavolo di lavoro congiunto Coni, Cip e Ministero; un protocollo d’intesa nazionale sulla parità; un osservatorio permanente sulla parità di genere nello sport.

La ricerca Change the Game indica chiaramente la necessità di formazione obbligatoria per allenatori, controlli esterni e, soprattutto, un cambio culturale che sposti l’attenzione dalla performance alla tutela della persona. Inoltre, mentre tra atlete e atleti di alto livello il gender gap si è praticamente azzerato, tra dirigenti e tecnici il ritardo resta significativo.

Lo sport deve tornare a essere un luogo di crescita sicuro per tutti. Il messaggio è chiaro: adesso basta.