Il 13 novembre ha segnato la fine di un capitolo importante nella storia dello sport business: Stephen Curry e Under Armour hanno annunciato la conclusione della loro partnership, iniziata nel 2013.
La conferma visiva è arrivata la sera successiva, quando il campione dei Golden State Warriors si è presentato al riscaldamento pre-partita indossando un paio di Nike Kobe, dopo oltre dieci anni di fedeltà esclusiva alle sue firmate UA.
Una scommessa che non ha pagato abbastanza
La collaborazione sembrava destinata a rivoluzionare gli equilibri del mercato delle sneaker da basket. Nel 2013, quando Curry firmò con Under Armour, era un giocatore promettente ma non ancora la superstar che sarebbe diventato. Il brand di Baltimora scommise su di lui prima degli altri, lanciando nel 2015 la Curry One e poi, nell’autunno dello stesso anno, la Curry Two.
Mentre Curry conquistava quattro titoli NBA e due premi MVP, trasformandosi in uno dei più grandi tiratori della storia, Under Armour sperava di sfidare il dominio di Nike. L’entusiasmo iniziale, però, non si è tradotto nel successo commerciale atteso: il franchise Curry non ha mai conquistato il prestigio culturale necessario nella comunità delle sneaker, come dimostrano i bassi valori di rivendita.
I numeri di una crisi annunciata
Le cifre raccontano una storia di declino inesorabile. Secondo WWD.com, il portfolio Curry genera oggi circa 100 milioni di dollari annui per Under Armour, appena il 2% del fatturato totale del brand e in calo del 50% rispetto al picco massimo. Un confronto impietoso con i 7,6 miliardi di dollari generati dal marchio Jordan di Nike nel 2025, nonostante quest’ultimo registri anch’esso un calo del 16%.
Under Armour attraversa una crisi profonda. Le azioni hanno perso il 54% del valore nell’ultimo anno, scambiando a soli 4,25 dollari. L’azienda ha chiuso l’anno fiscale 2025 con una perdita di 201 milioni di dollari e prevede un ulteriore calo del fatturato del 4-5% nell’anno fiscale 2026. Gli ultimi risultati del 30 settembre mostravano una perdita netta di quasi 19 milioni di dollari su ricavi di 1,33 miliardi.
Under Armour sfiora il pareggio: vendite in calo ma perdite quasi azzerate
La strategia di Kevin Plank
Il fondatore e CEO Kevin Plank ha inquadrato la separazione come parte di un piano di ristrutturazione più ampio. «Per Under Armour, questo momento è una questione di disciplina e di attenzione al marchio UA in una fase critica della nostra svolta», ha dichiarato.
La strategia prevede un focus su prodotti premium, aumento dei prezzi medi di vendita attraverso offerte innovative e una proposta con un rapporto prezzo/valore più convincente.
In questa visione, investire in una sneaker da basket esclusiva ad alto volume non trova più spazio. Il marchio aveva già anticipato questo cambio di rotta nel 2020, interrompendo accordi con diversi programmi sportivi universitari.
Il tentativo fallito del Curry Brand
Nel 2020, il lancio del Curry Brand sembrava poter dare nuova linfa alla partnership, espandendo la presenza di Curry in settori come golf e lifestyle. Nel 2023, quello che veniva descritto come un “accordo rivoluzionario a vita” elevava Curry a presidente del brand, garantendogli 75 milioni di dollari in azioni Under Armour e libertà di ingaggiare altri atleti come MiLaysia Fulwiley e De’Aaron Fox.
L’iniziativa, tuttavia, si è rivelata «una distrazione costosa e non redditizia», come osservano gli analisti del settore.
Under Armour, storicamente più forte nell’abbigliamento che nelle calzature, non è mai riuscita a creare prodotti o momenti di branding all’altezza della grandezza di Curry, a differenza di quanto Nike ha fatto con LeBron James.
Transizione e prospettive future
Under Armour continuerà a vendere l’attuale collezione Curry, con il lancio delle Curry 13 previsto per febbraio 2026 e ulteriori colorazioni disponibili fino a ottobre 2026. Curry manterrà la proprietà del brand omonimo, ora indipendente ma senza il supporto di un partner commerciale.
A 37 anni, Stephen Curry si trova in una posizione senza precedenti: free agent nel mercato delle sneaker con un brand personale ma negli ultimi anni di carriera agonistica.
La serata dopo l’annuncio della separazione, Curry ha prima indossato il modello Nike Kobe 6 Protro Mambacita, in omaggio a Kobe Bryant e alla figlia Gigi, poi ha segnato 49 punti contro gli Spurs indossando le sue scarpe Curry Brand, limitandosi a confermare il suo status di free agent senza sbilanciarsi sul futuro.
Visualizza questo post su Instagram
Le origini di un divorzio annunciato
La storia avrebbe potuto essere diversa. Nel 2013, Curry era un fedele Nike, aveva indossato le Zoom Hyperfuse nella leggendaria partita da 54 punti contro i Knicks al Madison Square Garden. Ma una presentazione disastrosa – con il nome di Steph pronunciato male, una slide con il nome di Kevin Durant lasciata per errore, e scarsa attenzione alle sue richieste – spinse la famiglia Curry a considerare altre offerte.
Under Armour colse l’opportunità, investendo quando le azioni di Curry erano ancora a buon mercato. Ma mentre Curry si trasformava in un nome familiare, il brand non riuscì a tenere il passo con la sua fama. Come ha scritto il consulente Nick Engvall su Substack, «Under Armour è riuscita a rendere Curry poco cool».
La separazione, nelle parole di Plank, «permette a due team forti di fare ciò che sanno fare meglio».
Per Under Armour, significa concentrarsi sulla sopravvivenza.
Per Curry, si apre un futuro incerto in un mercato delle sneaker che dovrà decidere quanto vale ancora scommettere su una leggenda nella fase finale della sua carriera, per quanto sovrumana ancora sia.