Benetton e Briatore hanno rivoluzionato la F1 anche con il marketing

In occasione della presentazione del docufilm “Benetton Formula” Flavio Briatore, racconta come abbia costruito un modello sportivo e finanziario rivoluzionario per la F1.

Briatore
Formula Benetton
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L’uscita del docufilm Benetton Formula riporta alla ribalta una pagina cruciale della storia della Formula 1: quella in cui un marchio di moda e un manager estraneo al motorsport hanno ribaltato gli equilibri di uno sport dominato da costruttori storici. A quarant’anni di distanza, Flavio Briatore – oggi consulente Alpine – ripercorre quel percorso fatto di intuizioni industriali, scelte strategiche e una visione manageriale che ha contribuito a ridefinire il modello economico e sportivo della F1 moderna.

La rivoluzione Benetton: quando il marketing incontrò la pista

Quando Luciano Benetton chiamò Briatore, l’obiettivo era sì vincere in pista, ma soprattutto portare competenza commerciale in un team che, negli anni Ottanta, viveva più come un centro di costo che come un asset strategico. «Mi aveva scelto perché negli Stati Uniti avevo lavorato bene per l’azienda. Non avevo mai visto un Gran Premio, ma lui vide in me la persona giusta», ricorda Briatore.

Il primo impatto fu rivelatore: una struttura priva di ambizione, un budget di 10-12 milioni totalmente a carico dell’azienda di Ponzano e nessuna reale strategia per attrarre sponsor. «Dissi a Luciano: se me ne occupo, voglio carta bianca». Da quel momento il manager iniziò un processo di trasformazione che anticipò molti dei paradigmi attuali.

L’ingresso di Camel, dopo un corteggiamento serrato alla Marlboro, segnò il primo passaggio verso la sostenibilità economica del team. Era una Formula 1 ancora lontana dai budget attuali, ma il principio era chiaro: un team deve finanziarsi come un’impresa, non come un hobby costoso.

Benetton fu il primo a “fare show”: colori, musica, modelle, comunicazione integrata. Elementi oggi dati per scontati, ma allora rivoluzionari. «Abbiamo reso popolare uno sport per ingegneri. Ma se non avessimo vinto, non sarebbe servito a nulla», commenta Briatore.

Schumacher, le strategie industriali e i successi mondiali

Nel 1991 l’arrivo di Michael Schumacher non fu un colpo di fortuna, ma una decisione strategica. Il giovane tedesco era già stato segnalato da Peter Sauber, ma la gara di debutto con Jordan a Spa ne certificò il talento. La scelta, però, portò a uno scontro legale con Jordan e non fu priva di tensioni interne.

«Chiamai Alessandro Benetton: “Io penso al contratto, tu tieni a bada la famiglia”», racconta Briatore. E a Luciano Benetton, da Tokyo, che chiedeva spiegazioni, Briatore ha sempre risposto che serviva un talento su cui costruire un ciclo.

Un ciclo che arrivò: vittoria nel 1994 e 1995, con due motori diversi (Ford e Renault), un unicum nella storia moderna della categoria.

Il modello Briatore fu spesso un gioco di incastri industriali. Celebre il caso dei motori Renault: impossibilitati a ottenere la fornitura a causa dell’opposizione di Frank Williams, Benetton acquistò la Ligier, che già disponeva dell’accordo. Una manovra atipica per l’epoca, che dimostrò come la gestione di un team richiedesse anche strategie finanziarie e negoziali non convenzionali.

La carriera di Briatore è continuata. Da Briatore a Benetton, da Schumacher ad Alonso. Sempre nel segno della vittoria e del rapporto complicato con Max Mosley.

Dalle accuse tecniche durante il ciclo Schumacher fino al “Singapore Gate” del 2008 con la Renault, il manager rivendica di essere stato bersaglio politico: «Mi hanno radiato per ragioni che poi ho contestato e vinto in tribunale», afferma.

Oggi Briatore è tornato in F1 nella stessa posizione strategica da cui fu allontanato. «È curioso, – ammette. – Ma la Formula 1 è anche questo: ritorni, cicli, nuove opportunità».

Alpine, Ferrari e il futuro: tra ricostruzione e visione strategica

L’approdo in Alpine, struttura che eredita la storia Benetton-Renault, è un cerchio che si chiude. Ma il presente è complesso. Briatore non lo nega: «Quest’anno non aveva senso investire troppo. Sapevamo di essere penalizzati dai motori».

Per questo il team ha scelto di stringere un accordo con Mercedes in vista del 2026, puntando su un rinnovamento tecnico e manageriale.

Una strategia che richiama quanto accaduto con McLaren, risalita ai vertici nel giro di tre anni: «Erano esattamente dove siamo noi ora», sottolinea.

A chi inoltre riconosce un ruolo in Formula 1, è la Ferrari. «Garantisce luce a tutto il movimento, – commenta. – La sua tifoseria metabolizza la delusione più velocemente di qualsiasi altra». Umberto Agnelli l’aveva cercato nel ‘95-’96, ma non se ne fece nulla.

Sul fronte sportivo, però, Briatore non ha dubbi: «Michael e Fernando Alonso sono i migliori piloti che abbia gestito». Due epoche, due caratteri, una stessa firma manageriale: «Stesso regista, due film diversi».

Una storia del passato che continua a parlare al presente.