L’All-Star Game verso una svolta epocale. Il prossimo appuntamento assumerà una veste inedita, con il format “USA vs. Resto del Mondo”, in cui i migliori giocatori americani sfideranno i talenti internazionali militanti nella lega statunitense.
L’annuncio è arrivato congiuntamente da parte della NBA e della NBPA (l’associazione dei giocatori), dopo mesi di discussioni interne e test di formato. L’obiettivo è ridare centralità e competitività a un evento che negli ultimi anni aveva perso appeal, complice la scarsa intensità e risultati da punteggio da videogame.
Il format del torneo
L’All-Star Game 2025 andrà in scena domenica 15 febbraio al nuovissimo Intuit Dome di Inglewood (Los Angeles), casa dei Clippers, e sarà trasmesso da NBC. Il format sarà quello di un mini torneo a tre squadre, ciascuna composta da almeno otto giocatori.
- Gara 1: Team A vs. Team B
- Gara 2: vincente di Gara 1 vs. Team C
- Gara 3: perdente di Gara 1 vs. Team C
Le partite dureranno un solo quarto da 12 minuti, e la finale vedrà affrontarsi le due squadre con il miglior record. In caso di parità (1-1), conterà la differenza punti. Nel complesso, il format garantirà l’equivalente di quattro quarti di gioco, cioè una durata complessiva simile a una partita standard.
La coincidenza temporale con le Olimpiadi invernali
La scelta del nuovo format riflette la volontà espressa dal commissario Adam Silver di “intercettare lo spirito patriottico globale” che accompagna ogni Olimpiade: il match si disputerà infatti in contemporanea con i Giochi di Milano Cortina 2026, che andranno in onda sugli stessi network NBC.
L’idea di contrapporre l’orgoglio nazionale statunitense alla crescente forza dei giocatori stranieri riflette anche un trend statistico ben preciso. Gli ultimi sette MVP della regular season sono tutti nati fuori dagli Stati Uniti.
Il canadese Shai Gilgeous-Alexander, l’ultimo di questa serie, è reduce da una stagione dominante, chiusa con il titolo di MVP, Finals MVP e campione NBA con gli Oklahoma City Thunder.
Le modalità di selezione dei roster
Il sistema di voto rimarrà in gran parte invariato, ma con una novità rilevante: spariscono le distinzioni tra backcourt e frontcourt. I tifosi potranno scegliere liberamente cinque giocatori per conference, senza vincoli di ruolo o di nazionalità.
Le preferenze del pubblico continueranno a pesare per il 50% del totale, mentre il 25% dei voti sarà espresso dai giocatori NBA e il restante 25% da una giuria composta da giornalisti e broadcaster che seguono la lega.
Sulla base dei risultati complessivi, verranno scelti dieci titolari, cinque per la Eastern Conference e cinque per la Western Conference. A completare le squadre saranno poi le riserve, selezionate dai coach NBA, sette per ciascuna conference.
I nodi da sciogliere
Poiché la lega è composta per circa due terzi da giocatori americani e per un terzo da stranieri, il piano prevede la creazione di due team statunitensi, per un totale di sedici giocatori, e di un team internazionale con otto componenti.
Tuttavia, qualora la distribuzione dei voti non rispecchiasse perfettamente questa proporzione, sarà Adam Silver a intervenire per garantire il minimo di giocatori necessari, anche attraverso eventuali aggiunte.
Inoltre, in virtù della doppia cittadinanza o di legami familiari, alcuni atleti potrebbero essere assegnati alla squadra “Resto del Mondo” pur essendo nati negli Stati Uniti. Restano comunque ancora da chiarire alcuni aspetti chiave.
La NBA non ha infatti comunicato i criteri con cui verranno composti i due team americani, né le modalità di selezione dei tre allenatori che guideranno le squadre. Anche la ripartizione del montepremi destinato ai giocatori sarà definita in seguito, insieme ai dettagli operativi legati all’organizzazione del torneo.
L’obiettivo: coniugare spettacolo e agonismo
L’NBA insegue da tempo una formula che renda l’All-Star Game nuovamente competitivo. Negli anni scorsi la lega aveva sperimentato il sistema dei “draft” con capitani come LeBron James, Stephen Curry, Giannis Antetokounmpo e Kevin Durant, seguiti dal tentativo del “target score” nel 2020, introdotto in omaggio a Kobe Bryant.
Tuttavia, il match del 2024 a Indianapolis, terminato con un clamoroso 211-186, ha evidenziato il problema di fondo: l’assenza di reale agonismo. Da lì è maturata la decisione di cambiare rotta e puntare su un format più dinamico e simbolicamente forte.
Con il format “USA vs. Resto del Mondo”, la NBA punta a esaltare le identità nazionali e coniugare spettacolo e agonismo. La mossa risponde a precise logiche di marketing e di engagement televisivo nell’ottica di riaccendere la scintilla tra giocatori e pubblico.