Avvicendamento in vista nell’azionariato di Puma. Il mercato globale dello sportwear, e in particolare delle sneakers, sta attraversando una fase di rallentamento. Anche il leader Nike ha chiuso l’esercizio fiscale a maggio con risultati deludenti: ricavi in calo del 10% a 44,7 miliardi di dollari e utile netto ridotto del 44% a 3,2 miliardi.
In questo scenario si inserisce la possibile uscita della famiglia Pinault dal capitale di Puma. Secondo indiscrezioni, la holding Artémis – che oggi controlla il 29% del marchio tedesco – avrebbe avviato contatti con potenziali acquirenti.
I possibili compratori
Dopo i rumors sulla cessione, il titolo in Borsa ha recuperato il 14% nell’ultima settimana, dopo aver perso oltre la metà della capitalizzazione dall’inizio dell’anno (-52%).Tra i gruppi che avrebbero manifestato interesse figurano grandi player asiatici e fondi del Medio Oriente.
In particolare, dalla Cina si guarda con attenzione ad Anta Sports Products, già proprietaria di Fila, Descente, Kolon Sport e Jack Wolfskin, che nel 2019 ha guidato il consorzio per l’acquisizione di Amer Sports (Wilson, Louisville Slugger) per 4,6 miliardi di euro.
Sempre dalla Cina arriverebbe poi l’interesse di Li Ning, l’azienda fondata dall’ex ginnasta olimpico nel 1990, attiva nelle calzature e nell’abbigliamento sportivo, che oltre al marchio principale controlla o gestisce brand come Double Happiness (tennis tavolo), Aigle (outdoor) e Kason (badminton).
A questi si potrebbero aggiungere, infine, i fondi sovrani del Medio Oriente, sempre più attivi nelle operazioni di acquisizione nel settore lifestyle e sportivo, che stanno monitorando il dossier e potrebbero decidere di giocare un ruolo attivo nella partita.
Il confronto con i concorrenti
Il settore delle sneakers appare oggi in difficoltà: diversi marchi storici faticano a intercettare i gusti delle nuove generazioni, che premiano brand emergenti come On Holding, New Balance e Hoka.
Nike, nonostante la spinta su nuovi modelli come la Vomero 18 e la leadership in sponsorizzazioni (tra cui Jannik Sinner), deve fare i conti con margini erosi dall’eccesso di scorte: il margine lordo è sceso al 42,7% (-190 punti base).
Adidas, al contrario, è riuscita a capitalizzare il trend vintage, rilanciando le Gazelle e chiudendo il primo semestre con ricavi in crescita del 14% a 12 miliardi di euro (+16% nella divisione sneakers).
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Le difficoltà di Puma
Puma non ha beneficiato delle difficoltà dei rivali. Il rilancio dei modelli storici, come la Palermo, è rimasto indietro rispetto al successo delle Samba di Adidas. Nonostante un accordo record con il Manchester City (1 miliardo di sterline in dieci anni), il marchio non è riuscito a riconquistare il favore dei consumatori.
Sotto la guida del nuovo ceo Arthur Hoeld, il gruppo ha avviato un percorso di rilancio, ma negli ultimi anni ha emesso più volte profit warning, l’ultimo appena un mese fa Puma ha chiuso il 2024 con un utile netto di 281,6 milioni di euro su ricavi per 8,8 miliardi.
Per il 2025, tuttavia, ha rivisto al ribasso le previsioni: atteso un calo a doppia cifra dei ricavi a cambi costanti e una perdita operativa (Ebit) a livello annuale, complice il rallentamento delle vendite, l’impatto dei dazi Usa e l’adeguamento della struttura dei costi.