Alla vigilia dell’edizione più ricca della sua storia, lo US Open vanta un primato che va oltre lo sport: essere stato il primo torneo del Grande Slam a introdurre la parità di montepremi tra uomini e donne. Era il 1973, e il merito fu soprattutto di una donna che ha cambiato per sempre il tennis: Billie Jean King.
Cinquant’anni dopo, la sua battaglia resta un punto di riferimento nella storia dei diritti sportivi e civili, ma la strada per un’uguaglianza piena è ancora incompleta: la parità di montepremi vale infatti soltanto nei quattro major, mentre il resto del circuito rimane sbilanciato.
1973: la scintilla a Forest Hills
Il percorso verso l’eguaglianza prese forma in un contesto sociale turbolento. Gli anni ’60 e ’70 furono segnati da movimenti anti-autoritari e dalla seconda ondata femminista, che negli Stati Uniti mise in discussione ruoli e gerarchie consolidate. Nel 1973, il gap salariale tra uomini e donne nel mercato del lavoro statunitense era enorme: le lavoratrici a tempo pieno guadagnavano in media appena il 56,6% del salario maschile.
Anche il tennis rifletteva quella disparità. Un anno prima, allo US Open, Ilie Năstase aveva incassato 25.000 dollari per la vittoria nel singolare maschile, mentre Billie Jean King, regina del tabellone femminile, si era fermata a 10.000.
La strategia di Billie Jean King
King non si limitò alla denuncia: portò numeri, sponsor e un piano concreto. Pretese un incontro con il direttore dello US Open e mostrò sondaggi che dimostravano l’interesse crescente del pubblico per il tennis femminile. Arrivò persino a proporre partner commerciali disposti a coprire la differenza di montepremi.
Il 20 luglio 1973, la svolta: la USTA annunciò che l’edizione di quell’anno avrebbe garantito premi identici ai vincitori uomini e donne. John Newcombe e Margaret Court portarono a casa 25.000 dollari ciascuno. Il “New York Times” titolò: “Il tennis decide che anche tutte le donne sono create uguali”, parafrasando la Dichiarazione d’Indipendenza.
Dal Virginia Slims Tour alla WTA
La battaglia di King affondava le radici nel 1970, quando nove tenniste — le “Original 9” — firmarono un contratto simbolico da un dollaro per creare un circuito indipendente. Con il supporto dell’editrice Gladys Heldman e lo sponsor Philip Morris (Virginia Slims), nacque il Virginia Slims Tour, primo embrione dell’attuale Women’s Tennis Association (WTA).
L’obiettivo era duplice: aumentare la visibilità del tennis femminile e creare una leva contrattuale contro i tornei che rifiutavano di equilibrare i premi.
Impatto economico e culturale
L’eguaglianza sancita dallo US Open del 1973 fu un caso unico nello sport professionistico dell’epoca. Sul piano economico, introdusse una forma di redistribuzione che sfidava le logiche di mercato allora dominanti, basate sul presupposto che lo sport femminile “valesse” meno.
Sul piano culturale, fu un atto di rottura: lo sport divenne terreno di rivendicazione dei diritti delle donne, in parallelo ad altri fronti — dal lavoro alla legislazione sulla famiglia. King stessa proseguì l’impegno per i diritti delle donne e delle minoranze sessuali, ricevendo nel 2009 la Medaglia della Libertà dalle mani di Barack Obama.
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Un’onda lunga: gli altri Slam
La decisione dello US Open del 1973 non ebbe un effetto immediato sugli altri major. Il percorso verso l’eguaglianza fu lungo, tortuoso e segnato da battaglie politiche e commerciali dentro e fuori dai campi.
Australian Open – Il primato perduto e poi riconquistato
Il primo major dell’anno fu in realtà un pioniere: nelle prime edizioni dell’era Open (dal 1968 in poi), il torneo australiano garantì parità di montepremi e, in alcuni casi, arrivò persino a pagare di più le campionesse rispetto ai campioni. Tuttavia, questo equilibrio si spezzò a metà anni ’90, quando i premi maschili tornarono a superare quelli femminili.
Fu a quel punto che la WTA e le giocatrici iniziarono una lunga attività di lobbying e negoziazione dietro le quinte. Dopo anni di pressione, Tennis Australia annunciò il ripristino della parità per l’edizione 2001: un ritorno alla linea progressista che aveva caratterizzato il torneo nei suoi esordi.
Roland Garros – Il traguardo nel 2006
Lo Slam parigino fu il penultimo ad allinearsi. Sotto la pressione crescente dell’opinione pubblica e del movimento femminista, la Federazione Francese di Tennis decise di garantire premi uguali nel 2006. L’annuncio arrivò in un anno simbolico: il secondo dei tre trionfi consecutivi di Justine Henin sul rosso di Parigi.
Un ruolo determinante fu giocato da Amélie Mauresmo, tra le voci più autorevoli a favore della riforma. La francese era reduce da un 2006 memorabile, con la vittoria agli Australian Open (dove ricevette lo stesso assegno del campione maschile) e a Wimbledon, dove però il suo premio fu inferiore a quello di Roger Federer.
Wimbledon – L’ultimo baluardo
Il torneo di Church Road resistette più a lungo di tutti, giustificando il divario con l’argomento della maggiore durata e durezza degli incontri maschili. La situazione, però, era diventata quasi paradossale: nel 2006, il distacco tra i premi di Federer (655.000 sterline) e Mauresmo (625.000) era sceso al 5%.
Il passo decisivo arrivò nel 2007, con un’adozione della parità totale. Va però riconosciuto a Wimbledon un primato poco noto: un mese prima del Roland Garros, gli organizzatori annunciarono che la parità sarebbe stata applicata in ogni turno, e non soltanto in finale. Una scelta che non solo colmava il gap economico, ma rafforzava il principio di equità in ogni fase della competizione.
La situazione oggi
Oggi i quattro major — US Open, Australian Open, Roland Garros e Wimbledon — offrono pari montepremi in ogni turno. Per esempio, Wimbledon garantisce 2 milioni di sterline ai campioni del singolare e 50.000 a chi esce al primo turno, senza differenze di genere.
Tuttavia, al di fuori dei major, la forbice resta ampia: molti tornei WTA offrono premi significativamente inferiori rispetto agli ATP di pari categoria, a dimostrazione che la battaglia iniziata mezzo secolo fa è stata vinta solo parzialmente.
In sintesi, lo US Open non ha solo scritto una pagina di storia del tennis: ha tracciato una rotta economica e culturale che ha influenzato l’intero movimento sportivo globale. Ma se il principio “uguale lavoro, uguale paga” è ormai la norma nei tornei più prestigiosi, la sfida di estenderlo all’intera stagione resta aperta — e il testimone, oggi, è nelle mani delle nuove generazioni di atlete e dirigenti.