I Giochi diffusi come modello da seguire. Andrea Varnier, ad della Fondazione Milano Cortina, in un’intervista rilasciata a Il Gazzettino, ha sottolineato il virtuosismo di una scelta che valorizza i territori.
«Personalmente non c’ero durante la fase di candidatura, ma il fatto che le Olimpiadi Invernali 2026 si chiamino Milano Cortina non è un vezzo estetico o geografico. Sono indicate due città perché è stata fatta una scelta lungimirante, tanto che quelli del 2030 in Francia saranno i Giochi delle Alpi francesi, diffusi secondo lo stesso modello».
In tal senso, l’obiettivo è sfruttare al meglio gli impianti già esistenti, che talvolta sono da ristrutturare o modernizzare, e con i Giochi trovano ragione d’esistere e soprattutto vengono poi restituiti alla collettività.
«L’idea dei Giochi diffusi è portarli dove hanno senso di essere, all’interno di un’area che nel nostro caso si estende su 22mila chilometri quadrati. Lo stimolo – spiega l’ad della Fondazione – è di sviluppare il più possibile i Giochi dove le infrastrutture sportive già esistono e di farli diventare un volano per le altre infrastrutture che quei territori non hanno mai avuto».
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Varnier Olimpiadi – La sostenibilità al centro
Il principio ispiratore delle scelte è sempre la sostenibilità, che in base anche alle direttive del CIO è il punto cardine fin dal dossier di candidatura.
«Come dice il governatore Luca Zaia sottolinea Varnier la sostenibilità oggi è il pre-requisito per tutto e nel nostro caso è addirittura il pre-pre-requisito: i Giochi nascono per essere sostenibili. Con un’agenda specifica, il Comitato olimpico internazionale cerca di rendere l’evento sia estivo che invernale il più sostenibile possibile».
Essendo un valore non solo legato al tema dell’ecologia, ma multidimensionale – come ricorda Varnier – va declinato in tutti i suoi aspetti, tenendo presente le esigenze della comunità e il valore aggiunto che essa può portare alla manifestazione.
«La sostenibilità non è solo ambientale: è un concetto complessivo, in cui entrano anche le persone e le esperienze. Andare a fare il biathlon ad Anterselva, dove c’è quello che finora era il secondo e adesso sarà il primo stadio del mondo proprio grazie alla ristrutturazione olimpica, significa trovare non solo una struttura, ma pure le persone che amano quello sport e accoglieranno gli atleti in un modo molto più caldo rispetto a un posto in cui nessuno lo conosce. Quindi chi vive quel luogo è fondamentale».
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Varnier Olimpiadi – Il modello dei Giochi diffusi
La decisione di diversificare i luoghi coinvolti è figlia di questo approccio: l’ambiente urbano di Milano ben si confà alle discipline sul ghiaccio, dal pattinaggio di figura e velocità, all’hockey, che per due settimane vedrà interrompersi il campionato americano per consentire ai campioni di partecipare alle Olimpiadi.
Livigno si caratterizzerà invece per le discipline dei giovani come snowboard e freestyle, mentre Bormio sarà la sede dello sci alpino maschile perché lì c’è una delle migliori piste.
Infine, Cortina, con le piste dello sci alpino femminile. E qui si apre il tasto più dolente, con il tema della pista da bob, al centro del vortice di polemiche che ha travolto la Fondazione.
«C’era un rudere – ribatte Varnier – di fatto una discarica abbandonata. Però c’era anche il Bob club, cioè la tradizione di Eugenio Monti, che tutti ancora ricordiamo. Anche se è uno sport che praticano in pochi, ci gloriamo quando Armin Zöggeler vince le medaglie nello slittino: dobbiamo dare agli atleti italiani un posto in cui allenarsi».
Varnier Olimpiadi – La legacy di Milano Cortina
Un altro aspetto cruciale quando si parla dei Giochi è il tema della legacy. Varnier precisa come la rassegna olimpica costituisca uno stimolo per le infrastrutture, oltre a quanto necessario in sé per i Giochi Invernali.
«Oltre a impianti sportivi migliorati ed efficienti, il lascito include infrastrutture come strade e ferrovie in cui lo Stato italiano ha investito 3,5 miliardi, di cui 1,4 in Veneto. Le Olimpiadi danno un’accelerata a questo tipo di lavori: magari alcuni li vedremo dopo l’evento, ma intanto partono. Pensiamo poi a quello che sarà un grande vanto per l’Italia: attraverso un’opera da 19 milioni, per la prima volta l’Arena di Verona sarà resa accessibile a tutti».
A questo si aggiunge l’aspetto intangibile, forse meno misurabile ma altrettanto importante per lo stimolo che porta nella popolazione in termini di cultura sportiva, con tutte le ricadute benefiche che ne derivano.
«L’educazione, la cultura, speriamo di avvicinare i ragazzi allo sport perché fa bene al fisico e alla crescita. È una missione magari meno visibile, ma in cui crediamo tanto. Ed è un’eredità nel segno della sostenibilità anche un approccio alla montagna più facile, per esempio rendendo accessibili le strutture ricettive, problema non solo per le persone disabili ma anche per una popolazione che invecchia».
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La complessità organizzativa e il ruolo degli sponsor
Pianificazione e organizzazione si portano dietro una forte complessità, in cui navigare è complicato specie per un ruolo apicale che deve districarsi in un’ambiente dinamico e imprevedibile.
«L’assunzione di decisioni e la gestione del contesto richiedono una velocità molto rapida in una struttura che cresce a vista d’occhio: si parte da zero e si arriva a 1.500 collaboratori in pochi mesi, a 20mila volontari in poco tempo».
Infine, una battuta anche sul tema degli sponsor, in cui si segnala una risposta poco entusiasta dal territorio veneto: «noi siamo solo lo strumento per organizzarli, ma i Giochi li ha voluti il Paese per fare bella figura agli occhi del mondo. In questo senso crediamo che la sponsorizzazione sia anche una forma di restituzione».